Israele e Iran nemici con comuni difficoltà

C’è come un segno del destino nelle traversie che i due grandi nemici del Medio Oriente, Iran e Israele, i Paesi che più di ogni altro perseguono nella regione una politica di potenza militare, si trovano ad affrontare nelle stesse ore.

In Israele si è spaccato il Gabinetto di guerra, il gruppo di sei persone che gestisce le operazioni militari dopo le stragi di Hamas del 7 ottobre 2023. Benny Gantz, ex capo di Stato maggiore, ex ministro della Difesa ed ex primo ministro, è uscito allo scoperto. In aprile aveva borbottato, chiedendo a Benjamin Netanyahu elezioni anticipate… ma non troppo: per settembre. Ora, invece, ha sparato a zero, accusando Netanyahu di non avere una strategia per il presente militare né un obiettivo per il futuro politico. Argomenti molto simili a quelli usati nei giorni scorsi dal ministro della Difesa Yoav Gallant, critico con il premier che non vuole accettare l’idea di una Striscia di Gaza controllata, a guerra finita, dai palestinesi di Al Fatah sotto tutela delle Nazioni Unite, che a Gallant pare l’unica praticabile.

Mentre il Governo di Israele si divideva in perfetta corrispondenza con la spaccatura del Paese reale, l’Iran viveva un altro genere di tragedia, che in modo analogo però riguarda sia le istituzioni che la società. Al ritorno da una visita in Azerbaigian si è schiantato l’elicottero che riportava a Teheran il presidente Ebrahim Raisi e il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif. La guida Suprema del Paese, l’ayatollah Alì Khamenei, ha subito convocato il Consiglio di sicurezza. Ironia della sorte o forse legge del destino, sono partite proprio da Israele le prime indiscrezioni sul fatto che il presidente Raisi era morto.Il viaggio in Azerbaigian era stato organizzato per l’inaugurazione di un impianto idroelettrico che servirà entrambi i Paesi. Ma il livello della delegazione iraniana, il presidente (accolto dall’omologo azero, Ilham Aliev) più il ministro degli Esteri, dimostra che la visita era soprattutto l’occasione per ripristinare le relazioni con lo Stato confinante, deteriorate dalla questione armena (Teheran schierata con Erevan) e dalle buone relazioni che l’Azerbaigian intrattiene con Israele, che nel Paese ha già installato postazioni di ascolto rivolte all’Iran.

La perdita di Raisi è un duro colpo per la stabilità delle istituzioni iraniane. Religioso di formazione e magistrato di carriera (prima di diventare presidente della Repubblica islamica era stato presidente della Corte suprema e prima ancora Procuratore generale), Raisi aveva tutte le caratteristiche per essere il più solido candidato a succedere alla guida Suprema Khamenei, primo successore di Khomeini, ormai ottantacinquenne e da tempo malato. Raisi non era certo un progressista ma molti hanno notato, nella recente crisi con Israele, che la debolezza del leader ha contribuito a lasciare spazio ai vertici dei pasdaran e delle milizie che, rivendicando i sacrifici fatti e gli uomini perduti (dal generale Soleimani in Iraq al comandante Mohammed Reza Zahedi colpito da Israele poche settimane fa in Siria), spingevano per l’escalation militare. Raisi fu messo da parte nei giorni della crisi, ma non tutti pensano che sia stata una buona idea, e molti di più sono coloro che credono che Israele, se avesse voluto, avrebbe potuto colpire molto più duramente. La questione istituzionale si riflette sul futuro dei cittadini. L’uscita di scena di Raisi potrebbe aprire la strada a un ampliamento dell’influenza delle milizie e quindi a un inasprimento della gestione del Paese, che avrebbe prima di tutto conseguenze interne. Le ricorrenti rivolte nelle grandi città, segnate ogni volta da centinaia di morti per le azioni repressive, dimostrano quanto sia precaria la situazione sociale e fragile il consenso verso il regime.E i ricorrenti attentati indicano che le misure di sicurezza sono tutt’altro che impenetrabili. Non era certo il momento per perdere colui che, in un modo o nell’altro, era comunque un elemento di maggiore equilibrio.

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