Domenica 29 settembre si rinnoverà il Consiglio provinciale. Tranquilli, cittadini e lettori, non ci sarà la cabina da onorare o da disertare; varrà ancora quella sulla spiaggia per gli ultimi scampoli vacanzieri.
Come forse saprete all’urna, in sala Ticozzi, sono chiamati i mille consiglieri dei comuni del territorio e gli 84 sindaci. Tanto per gradire, nella tornata del 2019 votarono solo i due terzi degli aventi diritto, come a dire che queste elezioni hanno il fascino di un portasapone.
Il presidente sarà ancora Alessandra Hofmann, dopo la sua riconferma alla guida di Monticello, requisito essenziale per occupare quella poltrona.
Io mi sono occupato per interi lustri dell’amministrazione provinciale: in gioventù come responsabile della comunicazione a Villa Saporiti, in quel di Como, poi come politico nella lunga battaglia per l’autonomia e infine da giornalista ancora sul campo e sul pezzo (almeno ci provo).
Ebbene con quel cursus alle spalle fatico ad occuparmi di un ente che galleggia nel limbo istituzionale, né carne né pesce, prossimo alla saracinesca e costretto a tenere aperta la bottega per adempiere a compiti di prim’ordine: su tutti le scuole superiori e le strade, retaggio della legge comunale provinciale del 1935.
E se non sono in discussione l’impegno e la solerzia della presidente e dei suoi stretti collaboratori, risulta sempre più marcata la distanza tra l’ organismo di democrazia indiretta e il popolo. Se vi prendesse il capriccio di un sondaggio fai da te scoprireste che meno del 10% dei consultati saprà del voto e molti di loro si stupiranno alla notizia che la Provincia esiste, resiste e prova a lottare per noi.
La verità è che dopo la furia ’anti costituzionale’ di Matteo Renzi, scaduto da lanciafiamme a lumino, le macerie hanno impedito la ricostruzione, lasciando l’ente in mezzo al guado e destinato all’oblio.
Solo la recente battaglia per trattenere a Lecco la Motorizzazione ci ha ricordato che non è il caso di farci inghiottire dall’altro ramo del Lario. Se sono anacronistiche le rivalità, quale che sia l’oggetto del contendere, va da sé che suonerebbe autolesionista ogni rinuncia a quei pezzi di autonomia concepiti e conquistati in nome dell’efficienza, della snellezza, della rapidità dei servizi.
La premessa, a mio avviso doverosa per inquadrare la materia, non ci esime dall’osservare come i partiti, nel cuore torrido dell’estate, abbiano acceso i motori alimentando una sfida sul tamburo delle dichiarazioni avverse, manco ci fosse in palio l’oro del re Brenno.
A scanso di equivoci noi riteniamo che una Provincia restituita al suo antico rango sarebbe assai utile per non diventare periferia di Milano o dependance della Valtellina. Insomma un ruolo peculiare di snodo e non solo di passaggio obbligato.
Tornando alla partita a porte chiuse proviamo a guardare la tavolozza dei colori: il centrodestra si presenterà unito, anche se diviso sul piano tattico e sarà curioso osservare come si comporteranno i civici di quell’area che da tempo sfuggono ai radar della politica locale. In definitiva su questo versante è ragionevole supporre che questa anomala conta servirà per misurare il peso delle singole forze e magari per un provino in vista delle amministrative di Lecco. Il centrosinistra si annuncia compatto ma attraversato da variabili, specie nel comune capoluogo a partire dai dissidenti Clara Fusi e Giovanni Tagliaferri per finire con l’incognita Corrado Valsecchi che non è certo tipo da limitarsi a ritirare la scheda: i tre insieme pesano per 1500 voti.
Così come meritano attenzione le scelte di Italia Viva che Antonio Rusconi, ora in panchina, piloterà con le riconosciute furbizia e convenienza e di Azione con in prima fila la segretaria Eleonora Lavelli che ogni giorno, per professione, si allena alla contesa tra le parti.
Non saprei dire se questa pluralità si rivelerà un vantaggio o un limite per il governo della provincia e per un suo rilancio in attesa che la ’prigione’ architettata da Del Rio cada in prescrizione.
Di sicuro mi sento di suggerire al nuovo consiglio e alla sua presidente di individuare un programma articolato in tre, quattro punti, sui quali chiamare a raccolta consiglieri regionali e parlamentari, con l’obiettivo di riscattare nei fatti quel che neppure si può promettere per la modesta credibilità istituzionale del pulpito.
Senza un’agenda comune con progetti, tempi e risorse dichiarati, temo che per chiunque la spunterà sarà una vittoria di Pirro.
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