Il test per medicina, un sistema da cambiare

Non lascerò che la buona novella dei 52 medici approdati in un anno nell’ordine professionale della provincia, si esaurisca nel tritacarne della cronaca.

E’ una nota confortante e promettente in grado di rischiare un pianeta troppo spesso vittima di critiche e lamentele, un bersaglio facile anche perchè ormai pazienti o loro parenti non esitano a trasformarsi in arcieri o pugili per una coda al Pronto Soccorso, per un contrattempo, a tacere gli epiloghi drammatici per i quali si giustiziano i medici e persino gli infermieri, anche quando l’omega è decretato dalla ineluttabilità della malattia.

Ogni anno si consumano migliaia di errori, per lo più rimediabili anche perché le tecnologie sempre più sofisticate allontanano il rischio delle famigerate garze o pinze dimenticate in pancia dal chirurgo. Va da sé che occorre un giro di vite, un più solido sistema di controllo e sicurezza e un crescente senso di responsabilità tra gli operatori quale che sia la loro mansione.

Eppure continuo a credere che la sanità della nostra provincia sia in buone mani e che l’ampio spettro delle specialità sia degnamente coperto.

Poi ci sono gli esterofili e il sempre più fitto esercito di chi, grazie ai “piedi caldi”, non esita a rivolgersi al luminare carico di medaglie e di tariffe astronomiche.

Un dato basterà a convincervi che il nostro sistema è pletorico e elefantiaco: in Lombardia operano 25 neurologie mentre nell’intera Francia sono solo 9. Uscendo dal seminato, a Milano si azzuffano più avvocati che in tutta la Francia e a Roma più che nella Gran Bretagna. Siamo un gigante dai piedi di cartapesta. Se i numeri fossero riferiti a urologia potrei ironizzare sulla fragilità lombarda della prostata, ma riguardando cervello e dintorni non posso certo concludere che dipenda da qualche caratteristica nostrana: o troppi intelligenti o troppo tordi.

Permettetemi ora di divagare: in questi giorni a Montecitorio si è potenziato il parco dei dipendenti addetti alla ristorazione dei parlamentari con inevitabile balzo dei costi. In sostanza gli paghiamo anche il vitto. Non sarà una nuova manifestazione di quel “magna magna” che il mondo dei politici si porta appresso da tempo immemorabile e che oggi trova sfogo persino nella carbonara?

L’italia, si sa, è la patria degli sprechi, ma non c’è verso di trovare nelle pieghe della legge di bilancio una sola voce che richiami rinunce a privilegi e si concilii con il conclamato spirito di austerità.

Poi tra accise e tasse spunta, con la sacralità dei dogmi, la solenne promessa: “La sanità non si tocca”. E no, amici miei, la sanità si deve toccare perché le liste d’attesa tengono in ballo e sulla corda i cittadini anche per un anno, perché occorre recuperare i ritardi accumulati nella stagione del Covid, quella segnata dalle tragedie ma anche connotata come l’età dell’oro per la reputazioni di medici, infermieri, operatori assurti giustamente all’aureola, ma poi dimenticati e restituiti alla palude dei turni impossibili, retribuiti con gli stipendi più bassi d’Europa e demotivati che è la più pericolosa deriva anche per chi ha pronunciato il giuramento di Ippocrate.

Che molto opportunamente e non solo simbolicamente è stato eletto davanti ai 52 neo laureati lecchesi con l’auspicio che si investa sulla loro peculiare professionalità che li chiama alla cura non di un paziente generico, ma di quella persona lì che gli è stata affidata oltre i valori e le diagnosi della cartella clinica. Voglio concludere questo pezzo consegnandovi una mia fissazione che non mi pare fuori tema: riguarda i test d’ingresso a medicina, l’assurdità dei quali si è rinfrescata in me quest’estate quando la figlia di un amico, uscita dalla maturità con il massimo dei voti mi ha raccontato della sua delusione per la non ammissione alla facoltà che da sempre la attrae e per la quale si sente portata, perchè ha cannato due o tre risposte che avevano con la medicina la stessa affinità di Pippo Inzaghi con lo stop o a scelta di un golfista con la buca delle lettere o, del Calvetti con freno e acceleratore.

Domande da settimana enigmistica utili per i pazienti spazientiti nella calca degli ambulatori. La sanità non si tocca?

Male, malissimo, ma che costerebbe al Governo dedicare dieci minuti per bruciare il tomo con 8000 quesiti e prevedere invece un esame attitudinale dopo il primo anno di frequenza? Non è arduo immaginare che avremmo medici più capaci, appassionati, selezionati dalle loro inclinazioni e non dai rebus e dalle sciarade.

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