Il cantiere è sempre aperto ma i lavori procedono a rilento. Forse sarebbe meglio dire: non procedono per niente, anzi retrocedono. L’attività è frenetica, ma più da parte dei demolitori che non dei costruttori, per cui alla fine sul terreno restano solo macerie.
Parliamo del cantiere del Terzo polo, aperto due anni fa da Italia Viva e Azione. L’idea di dar vita ad un terzo incomodo tra i due poli di destra e sinistra, rilanciata dopo molti tentativi finiti male, sembrava movesse i suoi primi passi sotto i migliori auspici. Due leader giovani, intraprendenti, determinati. Un circuito di quadri entusiasti e generosi. Un seguito nell’opinione pubblica ristretto ma di persone per lo più professionalmente qualificate: insomma non il solito giro di girovaghi della politica politicante. Incoraggiante il primo riscontro elettorale: più del 7%.
Sono comparsi presto, però, anche molti ma. Il più vistoso al vertice. In un Paese in cui si lamenta la scarsità di politici di razza, il Terzo polo ne vantava addirittura due. Già uno di qualità è difficile da trovare, figurarsi due. Due sono francamente troppi. Infatti, se hanno entrambi la stoffa del leader, si può star certi che saranno guai. Se anche solo uno dei due non ne ha, il progetto è destinato a non decollare.
Lasciamo al lettore decidere quale delle due ipotesi sia la più corrispondente alla verità. Certo è che Renzi e Calenda hanno mostrato entrambi un certo caratterino.
Pieni di sé, gelosi della ribalta, attenti più a curare la propria bottega che non a far prosperare l’impresa. Il disastro era assicurato. Infatti, sono passati due anni e l’impresa è stata rinviata alla casella di partenza, con in più il fardello di un fallimento.
I due hanno fatto certo del loro meglio per far finire male il progetto. Dopo l’ennesimo nulla di fatto, è legittimo però porsi il dubbio: il difetto sta nel guidatore o nella macchina?
Non si riesce a trovare l’imprenditore politico capace di mettere a frutto il capitale del Terzo polo o, per bravi che siano i politici che si accingono all’impresa, il fallimento è assicurato perché manca il capitale? A meno di pensare che l’Italia sia un’eccezione nel panorama delle democrazie occidentali, a noi pare più fondata la prima ipotesi, e cioè che sia il guidatore a mandare fuoristrada la macchina, mentre l’auto che guida ha grandi potenzialità. Guardiamo fuori dai nostri confini. In Inghilterra il Partito liberale, terzo incomodo tra laburisti e conservatori, pur dovendo gareggiare con un sistema elettorale che penalizza le forze minori, grazie ad un sapiente uso della desistenza, s’è portato a casa un numero tutt’altro che disonorevole di deputati: ben 71. In Francia, dove pure vige un sistema maggioritario, Macron, un senza partito, ha ottenuto un tondo 20% e 168 deputati, e si dice che gli sarebbe andata male. Chissà, allora, cosa avrebbe ottenuto se gli fosse andata bene!
Il succo della storia è che anche nella società flagellata dalla globalizzazione, che rende i moderati degli arrabbiati, il Terzo polo nella società civile esiste. Se manca nella società politica, è solo che non si è riusciti a scovarlo e valorizzarlo. È un po’ come nella ricerca dei funghi. Il raccoglitore che non ne trova deve solo accusare se stesso di non saperli scovare e cogliere, perché nel bosco i funghi ci sono. A parte, poi, ogni altra considerazione prettamente politica, c’è una ragione istituzionale che milita a favore di un Terzo polo. In un’Italia in cui si gabella per alternanza quella a tutti gli effetti è una lotta per l’alternativa, non una leale gara per indicare il migliore ma un’ordalia che condanni il reietto, una dose di laica moderazione e sana tolleranza sarebbe provvidenziale.
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