Il ritorno del rigore, manovra più difficile

La prossima manovra di Bilancio ammonterà a circa 23-25 miliardi, ma per il momento solo la metà di quelle risorse sono coperte.

Tocca al ministro Giorgetti cercare i circa 10 miliardi che mancano, avendo di fronte a sé due problemi: affrontare i nuovi meccanismi del Patto di stabilità e respingere il più possibile le richieste che arrivano dai partiti della maggioranza.

Come è noto, questo è l’anno in cui risorge il Patto di stabilità (e crescita, ma questo ce lo dimentichiamo sempre) nella sua nuova versione post Covid. Benché un po’ addolcito, è il ritorno della politica del rigore, dei conti in ordine, del deficit sotto tutela: il livello massimo previsto è il 3%, meno della metà di quello che si conta oggi in Italia, arrivato alla vetta del 7,4. Per rientrare nei ranghi, occorre promettere un piano dettagliato di riforme (come al solito) e così ottenere un piano di rientro in 4-7 anni.

Non sarà una passeggiata, e Giorgetti è il primo a saperlo. Tra l’altro i meccanismi del nuovo Piano sono estremamente complessi e cominceranno da subito con la presentazione in Consiglio dei ministri e poi in Parlamento, del Piano di spesa pluriennale.

La data prevista sarebbe il 20 settembre ma tutti danno per scontato che si scivolerà in ottobre (del resto non saremo gli unici: parecchi Paesi sono ancora in alto mare, e tra loro perfino l’Olanda, il falchetto europeo più agguerrito). Poi si arriverà al Documento di Bilancio in base al quale la Commissione darà il suo primo parere sulla nostra manovra.

La legge impone che il Parlamento approvi la legge di Bilancio entro la data tassativa del 31 dicembre, altrimenti si va in esercizio provvisorio, ma l’impressione è che quest’anno ci si arriverà davvero con il fiato corto.

Soprattutto perché mantenere le promesse e trovare i soldi sarà un’impresa più ardua del solito: Giorgia Meloni non potrà rinunciare alla proroga del taglio del cuneo fiscale, uno dei cardini della politica economica del governo. Si potrebbe per questo fare il consueto taglio alle pensioni, ma la Corte Costituzionale per la seconda volta nei giorni scorsi ha dato torto al governo per i suoi tagli e la strada rischia questa volta di essere in salita.

Ci sarebbero poi gli extraprofitti delle banche, ma qui si è innescata una dura polemica tutta interna al centrodestra. L’idea di tassare i conti delle banche pare piacere alla destra della coalizione ma è assolutamente contrastata da Forza Italia: Antonio Tajani non ne vuole sapere, dice che non è previsto dal programma della coalizione e che Forza Italia, nel caso, voterebbe contro. Ai mugugni del ministro Giorgetti (che pure qualche tempo fa aveva escluso la eventualità di un simile provvedimento) per le parole di Tajani, si è rumorosamente unito il presidente del Senato Ignazio La Russa che ha avanzato il più insidioso dei sospetti nei confronti del partito che fu di Silvio Berlusconi e che comunque alla famiglia di Arcore deve ancora parecchio: «Forse che Tajani deve tutelare qualche banca?».

Il riferimento, assolutamente non velato, è a Mediolanum, la banca berlusconiana che verrebbe penalizzata per parecchi milioni se davvero di procedesse a tassare quanto hanno guadagnato le banche con l’aumento degli interessi dei risparmiatori. Uno scontro alla luce del sole che rende ancora più nervosa questa vigilia della prima riunione del Consiglio dei ministri che sarà dedicata a dare il via alla sessione di Bilancio.

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