Il ritiro di Biden come quello di Celestino

Orecchiando distrattamente l’annuncio in TV, mesto e in tono minore, del ritiro di Joe Biden dalla corsa alla Casa Bianca, ho pensato per un attimo si trattasse dell’abbandono del Tour de France di un quasi omonimo ciclista americano, vittima del Covid. Disdegno le cerimonie, specie quelle cerimoniose, tuttavia ritengo che certi passaggi della storia con valenza pubblica e istituzionale reclamino un tocco di solennità, se non di sacralità. Per intenderci, cito a caso, se il sindaco di Lecco decidesse di piantare baracca e burattini per seppellire la farsa tragicomica di Linee Lecco, non mi accontenterei di un laconico comunicato di tre righe, di quelli che ogni giorno affollano il sito comunale e distraggono dalla sagra dei disagi.

L’uomo più potente della Terra (la terra trema al sol pensiero) se la svigna con una uscita che neanche il presidente di una bocciofila, dopo aver per settimane difeso la propria candidatura con caparbietà pari alla “gaffaggine”. Divago ora per motivare il mio disappunto. Non essendo un cattolico di strettissima e acritica osservanza francescana, nel senso di Bergoglio, il Papa mi calza a pennello quando acquista le scarpe nel negozio sotto casa: di contro non mi scandalizzano, né mi incantano, lo sfarzo purpureo dei cardinali al Conclave o l’ermellino dei togati in Cassazione ( l’ermellimo, anche no) perché riconosco il peso e il valore delle tradizioni che si nutrono di sostanza, ma che si vestono anche di forma.

Non ne faccio ovviamente una questione di etica (siamo seri) bensì di etichetta, cioè della sua versione in sedicesimo: in sintesi cerco in ogni circostanza di osservare l’algebra della sottrazione, chè la dovizia di orpelli e di paludamenti quasi sempre copre abissi di vuoto e statue di supponenza. Non avendo la facoltà di accedere a Google (il digitare mi è ostile), pesco a random qualche aneddoto passato o recente, suggellato da rifiuti, rinunce, abbandoni: nulla più di un gioco da spiaggia che tuttavia non può non partire dal gran rifiuto di Celestino V che tuttavia si meritò di essere tacciato di “viltade” da Dante, solo un pelo più sommo dei mezzi busti televisivi, atterrati negli Stati Uniti con lo zaino della loro incerta sintassi.

Virando sulle acque dello sport, tralascio la citazione del sempiterno Dorando Petri, cascante e penalizzato a due passi dal traguardo della Maratona. Cito invece il “gran rifiuto” dei nerazzurri di Helenio Herrera (correva l’anno 1961) che, per protesta verso una sentenza avversa, nella sfida contro gli odiati bianconeri spedirono in campo la Primavera. Tra loro, il ragazzino Sandro Mazzola (peraltro autore del gol della bandiera). Non scomodo il ritiro (fisico, anche se non artistico) della “tigre di Cremona” Mina nella gabbia dorata del suo isolamento. Preferisco aggiungere a piene mani politica internazionale e scandali reali, ricordando l’addio al trono di Edoardo VIII d’Inghilterra, accusato di simpatie nazifasciste e soprattutto più attratto dal bel sorriso della già divorziata Wallis Simpson che dagli oneri di capo del Commonwealth e della Chiesa anglicana. Per quanto riguarda la politica nostrana, ritorno con la memoria ai ritiri forzati (e gonfi di un’emotività ben poco aderente alla loro immagine pubblica) di Fanfani e Andreotti dalle corse al Quirinale del 1971 e del 1992.

Insomma, mentre provo ad annodare il filo di questi frammenti che tra loro non sono neppure lontani parenti, mi convinco che ad animare i comportamenti del genere umano sia soprattutto l’ambizione, nelle sue molteplici declinazioni. In casi come questi, anche quando si traveste da umiltà, modestia, francescano spirito di servizio. E mi viene quasi da concordare con Oscar Wilde, quando dice che la naturalezza (come del resto l’umiltà resa pubblica e idolatrata) è solo una posa. Forse la più irritante che si conosca.

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