Il papa contro chi specula sulla pace

È l’era della non pace e non perché nessuno riesce oggi a garantire la pace, ma perché tutte le iniziative e tutte le occasioni elaborate per fermare i conflitti, contengono in sé una premessa sbagliata, che non coglie l’umanità dell’altro, ma ne giustifica solo l’antagonismo. E allora tutto si tramuta quasi naturalmente in escalation. Eppure tutto appare normale e pochi si rendono conto che oggi è la domanda di guerra a caratterizzare il sistema geopolitico globale e non la domanda di pace.

La pace è stata segregata da speculatori senza scrupoli, ai quali non interessa scongiurare la catastrofe.

Jorge Mario Bergoglio ripete questo ragionamento, ogni volta con qualche drammatica sfumatura in più, tutte le domeniche da molti mesi. Chiede, anzi implora, domanda, anzi supplica di sfilare dialogo, riconoscimento, trattative dalle mani dello speculatore, comunque sia chiamato e ovunque dimori. Domenica all’Angelus lo ha fatto di nuovo preoccupatissimo dell’escalation. Francesco ha messo in fila Medio Oriente e Venezuela, che sono solo due dei quadranti dove le sorti del conflitto sono in mano agli speculatori della pace.

Molte cose si assomigliano. Per risolvere conflitti occorre cercare la verità, occuparsi della giustizia, esercitare moderazione ed evitare la violenza. Non avviene in Medio Oriente, non avviene in Venezuela. Sembra che l’unico esercizio virtuoso oggi sia quello di promuovere instabilità e di alimentare il ciclo della globalizzazione dei conflitti. La pace è diventata ostaggio di quella che Bergoglio ha più volte definito la Terza guerra mondiale combattuta a pezzi, dove ognuno dei pezzi ha un perimetro e dei protagonisti che governano il gioco e ai quali non interessa trovare soluzioni, ma ragioni per continuare a costruire e consolidare l’era della non pace.

Ciò che potrebbe accadere in Medio Oriente, semmai non ne avessimo avuto abbastanza, è la globalizzazione del terrore come risultato della connessione e dello scontro fra teologie politiche, nazionalismi malati, progetti tecnocratici, idee tossiche alimentate dai social a tutte le latitudini. Tuttavia troviamo giustificazioni circa il fatto che non si poteva fare altrimenti. Il Papa ieri ha criticato gli omicidi mirati e gli attacchi mirati, osservando che le uccisioni mai sono una soluzione. Invece è la norma in Medio Oriente. Li utilizza Israele in modo eclatante, ma anche tutti gli altri non scherzano. Cosa è stata quattro anni fa l’esplosione del porto di Beirut se non una strage mirata e un avvertimento? Omicidi, bombardamenti e gli avvertimenti sono utili ad alcunché. Francesco lo ha detto molte volte e ieri per due volte ha ripetuto: «Basta, basta!». Invece oggi si ragiona solo in termini di “risposta schiacciante” e di “lezione storica”, minacce incrociate e incertezza non solo circa il futuro, ma anche circa le prossime ore.

In realtà da quelle parti nessuno può ritenere di essere sulla strada giusta e dopo il 7 ottobre tutto è diventato drammaticamente più chiaro. Teheran non ha mai smesso di coltivare il sogno imperiale di imporre a tutti i Paesi arabi il suo sistema teocratico. Israele ha scelto che sia il terrorismo suo e di Hamas a dettare le regole del futuro nella regione. Intorno tutto va in frantumi nell’azzardo infinito solo dell’esasperazione della violenza quotidiana alimentata dalle pallottole delle armi e dalla ferocia e brutalità dei linguaggi.

Si fatica addirittura a definire il confine tra guerra e pace, perché anche concetti che sembravano non diventare mai obsoleti, come la guerra e la pace, dipendono dai punti di vista.

Soltanto Francesco è sicuro che la guerra sia una sconfitta.

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