Il nobel e un mondo che riscopre la paura

Applausi a scena aperta per il Nobel per la Pace assegnato a Nihon Hidankyo, l’organizzazione giapponese dei sopravvissuti alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Il Comitato norvegese del riconoscimento ha deciso di premiare chi, attraverso il sacrificio e la memoria, si batte per un mondo libero dalle armi nucleari. Una logica precisa, anzi ineluttabile, vista la situazione globale. Le potenze nucleari modernizzano e potenziano i loro arsenali, nuovi Paesi ambiscono ad armi atomiche, e la minaccia di usarle è sempre più reale nelle guerre in corso.

Non è una novità che la minaccia atomica sia evocata con allarmante leggerezza, e la fine dell’umanità appare oggi meno remota di quanto ci piacerebbe credere. L’Ucraina è un campo di battaglia su cui si gioca la partita del terrore nucleare. Anche in Medio Oriente, la presenza silente ma certa dell’arsenale nucleare israeliano è un segreto mal custodito, mentre l’Iran non smette di spingere il suo programma atomico, cercando di sfuggire ai tentativi, da parte di Tel Aviv, di rallentarlo. Le testate nucleari, oltre a essere nelle mani di Russia, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Cina, Pakistan, India e Corea del Nord, sono in costante aggiornamento. Le cifre ufficiali parlano di 12.121 testate sparse per il globo, sufficienti a cancellare la popolazione terrestre più volte.

Il Comitato Nobel ha ricordato a noi tutti che cosa sono realmente le armi nucleari: «gli strumenti di distruzione più potenti mai creati dall’uomo». Nella sua motivazione, l’assegnazione del premio all’organizzazione giapponese onora «quei sopravvissuti che, nonostante le sofferenze e i ricordi strazianti, hanno scelto di trasformare la loro esperienza in un impegno per la pace». Un segnale forte, una denuncia di come l’equilibrio del terrore, che per decenni ha evitato lo scontro diretto tra le superpotenze, oggi non sia più un’arma di deterrenza efficace.

Durante la Guerra Fredda, Robert McNamara, allora segretario alla Difesa degli Stati Uniti, parlava di «mutua distruzione assicurata». Era una situazione di equilibrio tra USA e URSS, in cui ciascuno sapeva di poter infliggere all’altro perdite così pesanti da rendere qualunque conflitto insensato. Una logica spaventosa, ma che ha funzionato. La crisi dei missili di Cuba, nel 1962, portò il mondo a un passo dalla catastrofe, eppure l’equilibrio resistette.

Ma oggi? In un mondo multipolare e frammentato, questo equilibrio appare fragile. Gli Stati Uniti e la Russia non sono più le uniche potenze a detenere l’arma definitiva, e il pericolo che la guerra nucleare sia scatenata da un errore o da un atto disperato è reale. L’Onu, che una volta sembrava l’ultima linea di difesa, è paralizzata e spesso ridicolizzata, come dimostra il caso del Libano. La sua autorità è contestata, umiliata, sotto attacco. Come ha dichiarato Toshiyuki Mimaki, co-presidente di Nihon Hidankyo: «L’idea che le armi nucleari portino la pace è un errore». Mimaki ha poi aggiunto: «Si è detto che grazie alle armi nucleari, il mondo mantiene la pace. Ma queste armi possono finire nelle mani di terroristi. Se la Russia le usasse contro l’Ucraina o Israele contro Gaza, non finirebbe lì. I politici dovrebbero saperlo».

Il Comitato norvegese, tuttavia, ha voluto ricordare un dato incoraggiante: da 80 anni nessuna arma nucleare è stata impiegata in guerra. Questo grazie, in buona parte, agli sforzi di Nihon Hidankyo e degli Hibakusha, che hanno contribuito a creare un vero e proprio tabù sull’uso delle armi atomiche. Ma questo tabù è fragile, e infrangerlo significherebbe la fine del mondo, come ammoniscono gli esperti.

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