Nei giorni scorsi ho avuto modo di veder balenare anche all’orizzonte lariano i riflessi celesti del Meeting di Rimini. Per me che imbraccio il volante con lo stesso gusto con il quale addenterei una barbabietola è quasi impensabile ricalcare le gesta di tanti lecchesi che, magari in giornata, filano dritti come un fuso avanti e indietro dall’autostrada Adriatica, con l’unico scopo di immergersi nel coacervo di fede, politica e idee dell’appuntamento ciellino. Riconosco, però, la passione sincera che muove tanti miei concittadini e un gran numero di visitatori dall’Italia e dall’estero. Non c’è dubbio: chi si infila attraverso gli ingressi della Fiera romagnola e macina chilometri tra stand, salette, pannelli e auditorium lo fa per pura e semplice sete. Sete di cultura, magari di dottrina, certamente di umanità. Ed io, che sono come l’autore Terenzio (perdonatemi il guizzo liceale), non ritengo estraneo da me nulla che sia umano e umanistico, Meeting incluso.
Certo è che, dopo decenni di editoriali ve ne sarete accorti, vivo anche di quel groviglio di umori e di ideali (perduti) che è la politica. E, proprio attraverso quella lente, non posso fare a meno di annotare due o tre spigolature dal Meeting. O meglio, dalla galassia ciellina. Muovo i passi dal ricordo di una vecchia tornata elettorale locale. Quella del 1975. La ricordo bene, anche perché ero segretario della Dc lecchese e, in pieno dissenso dal resto del partito, decisi di arginare l’avanzata del Pci avallando la corsa di quattro ciellini tra le file dello Scudo crociato. Del resto, l’ispiratore dell’impegno politico di Cielle era il loro stesso leader, don Giussani. La scommessa, come abbastanza spesso mi accade, si rivelò azzeccata. I quattro (allora la quadriglia di preferenze imponeva strategie simili) erano Giuliano Amigoni, Gabriele Perossi, Norberto Corti, Fulvio Bonacina e irruppero in consiglio comunale con oltre mille preferenze a testa. Una quota con la quale oggi si può pure diventare ministri pentastellati.
È trascorso quasi mezzo secolo da allora e tocca prender nota oggi di una diaspora del mondo politico ciellino. Anche e soprattutto a Lecco, specie ora che sono scomparsi due leader della caratura di Giulio Boscagli e Plinio Agostoni. Quella che un tempo era la robusta falange della Democrazia cristiana è oggi la falange (o forse falangina, o falangetta) di tutte quante le dita della mano. C’è chi ha odorato il profumo di consensi (turandosi magari il naso su qualche nazionalismo di troppo che sbatte il grugno con la tanto decantata sussidiarietà) e si è incamminato lungo il solco della Sorella d’Italia Giorgia Meloni. C’è chi ha scelto di aggrapparsi tenacemente alle briciole del sistema maggioritario, reclamando in dote un seggio sicuro in cambio di uno zero virgola di consensi portati in dote alla coalizione (ma si sa, ci sono elezioni vinte o perse per gli zero virgola zero). Brandendo, però, la bandiera di un centrismo passato di moda più dei paletot. E poi ci sono i figlioletti di Silvio, che ancora guardano a Forza Italia sperando, forse religiosamente e cristianamente, nel miracolo di un ritorno alle energie e ai consensi degli anni Novanta. Se poi aggiungete qualche transfugo renziano, il gioco è fatto. Ci sono barlumi di Cielle ovunque, ma così facendo il movimento si è mano a mano incamminato sul sentiero dell’inconsistenza politica, rinunciando a condizionare elezioni e direzioni politiche (ci ricordiamo tutti il voto disgiunto della sfida tra Roberto Castelli e Virginio Brivio nel 2010).
Anche nella prospettiva delle prossime amministrative, capoluogo in primis, sarà interessante vedere se i rappresentanti di Cielle ritroveranno una condivisione programmatica, ispirata ai valori non negoziabili della loro esperienza, e remeranno dalla stessa parte, oppure si ridurranno a ininfluenti cespugli nel fitto della boscaglia popolare.
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