Il massacro del Crocus è un colpo durissimo alla geostrategia di Vladimir Putin, che, invece, di prendersela con l’Ucraina e con l’Occidente avrebbe dovuto continuare a mantenere la guardia alta in Asia centrale, dove vi sono interessi vitali per la Russia.
Lo si sapeva perfettamente che il ritiro Usa dall’Afghanistan - completato in maniera disordinata il 15 agosto 2021 - avrebbe avuto delle pesanti ripercussioni nell’area ex sovietica, poiché avrebbe messo addirittura il cosiddetto “ventre molle” del gigante slavo di nuovo a rischio infiltrazioni islamiche. Oltre 20 milioni di russi, che vivono lungo le rive del Volga e in Caucaso, sono infatti musulmani.
Di nuovo! Come se la lezione degli anni Novanta sia stata dimenticata a Mosca. E invece il ritiro da Kabul è stato interpretato come un segnale di debolezza di Stati Uniti e di Europa, quindi si poteva osare di più su altri scenari. Ricordiamo bene quei tragici primi giorni dell’ottobre 1996, quando le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale insieme alla Russia tennero un summit d’emergenza poche ore dopo che i talebani avevano conquistato Kabul.
Seguirono anni terribili di infiltrazioni radicali in Kirghizistan, in Tagikistan, in Uzbekistan. Mezza regione venne messa a ferro e a fuoco da irregolari con il Cremlino a vegliare quotidianamente sugli umori in Tatarstan e in Bashkiria (sul Volga). Le ripercussioni di quell’infezione radicale arrivarono fino al Caucaso, dove la rivolta separatista si trasformò in qualcosa di diverso. Gli uomini di Bin Laden, con referenti in Afghanistan, e i salafiti filo-sauditi ne combinarono di tutti i colori.
Fu l’intelligence russa a indicare ai colleghi americani le coordinate dei campi in Afghanistan da dove erano partiti i terroristi che fecero saltare le ambasciate Usa in Africa orientale nell’estate 1998. E fu sempre Mosca, ricca dell’esperienza dell’intervento Urss a Kabul tra il 1979 e il 1989, a fornire a Washington aiuti fondamentali dopo l’abbattimento delle due Torri a New York nel 2001.
Ma non solo. Per lunghi anni, in pochi lo sanno, i convogli della Nato diretti in Afghanistan sono transitati per la Russia che ha fornito ampio sussidio logistico. La logica al Cremlino era semplice: gli occidentali ci stanno levando le castagne dal fuoco; aiutiamoli! Contemporaneamente Mosca è riuscita a eliminare l’infezione in Caucaso, anche con metodi brutali, dopo aver pianto per le stragi al teatro della Dubrovka nel 2002, alla scuola di Beslan nel 2004 e in tante altre occasioni.
Poi è andata lei stessa a combattere in Siria contro lo “Stato islamico”, che contava tra le sue file migliaia di fuoriusciti radicali ex sovietici - leggasi asiatici, caucasici e russi. Questa scelta clamorosa del settembre 2015 poteva essere interpretata anche come una misura preventiva di carattere interno per il Cremlino.
Il massacro del Crocus ci riporta indietro di 20, se non addirittura di 30 anni. Guardare nelle celle del tribunale le facce dei 4 presunti attentatori - a quanto pare tutti tagichi di nazionalità - è il segno della lezione dimenticata. L’aggravante rispetto al passato è che oggi la Russia ospita - a volte anche per brevi periodi - milioni di questi ex sovietici che rappresentano la forza lavoro principale a basso costo in molti settori. Se se ne vanno loro la metropoli di Mosca, ad esempio, chiude i battenti.
E adesso che succederà? Le forze di sicurezza rivolteranno come un calzino le comunità degli asiatici ex sovietici? Perché i “filtri” - un vanto dell’intelligence russa - non hanno funzionato? Se è vero che un paio dei presunti attentatori siano stati istruiti in Turchia, come affermano fonti di stampa, tante saranno le domande scomode a cui presto si dovrà rispondere.
Nonostante la tragedia ucraina, è bene evidenziarlo, russi e occidentali continuano a collaborare in pochi campi, ma tutti sensibili. Uno di questi è proprio la lotta al terrorismo internazionale. Perché, quindi, è stato sottovalutato l’avvertimento Usa?
I nodi stanno venendo al pettine. Questo spaventoso massacro potrebbe indurre Putin a più miti consigli e, ci illudiamo - ma non ci crediamo -, a fargli aprire spiragli su altri scenari.
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