Il generale e la notizia che diventa cabaret

Basta poco per diventare una macchietta. Ormai da tempo immemore il sistema dell’informazione in Italia - anche nel resto dell’Occidente, per carità, ma in Italia in maniera particolare - ha assunto il potere matematico e assoluto di fare carne di porco di qualsiasi argomento. Appena sfiora una notizia, la trasforma immediatamente in cabaret.

L’ultimo personaggio a essere passato nel giro di pochi giorni dal più assoluto anonimato a una visibilità degna del Papa Re è l’ormai celeberrimo - appunto - generale Roberto Vannacci, l’autore di un saggio autoprodotto fortemente critico nei confronti del pensiero “politicamente corretto”, che è ormai diventato un best seller con numeri alla Harry Potter e che gli sta fruttando, chiamalo scemo, una carrettata di soldi. Ma il punto, ovviamente, non è questo. E non è nemmeno la questione di merito sull’opportunità che un alto grado dell’esercito metta per iscritto tesi molto estreme sui gay, sugli immigrati, sulla famiglia, sui poteri forti eccetera. In questo caso il tema è presto risolto, soprattutto per chiunque, come chi scrive questo pezzo, sia stato ufficiale: i componenti delle forze armate, fino a quando sono in servizio, non possono parlare e non possono scrivere. Devono dare gli ordini ai loro uomini o eseguire quelli dei loro superiori. E basta. Gli unici che hanno il mandato di parlare sono i politici. E questo a prescindere dalla bontà o meno delle tesi espresse: se Vannacci avesse sostenuto nel suo libro l’esatto contrario di quello che ha scritto sarebbe stato da censurare nello stesso identico modo. Perché il militare in servizio non può parlare. Lo fa quando va in pensione o se lascia le forze armate. Punto. Esattamente quello che ha rimarcato con grande coerenza il ministro Crosetto e che - infatti - è stato preso a pesci in faccia da quasi tutta la sua maggioranza e irriso da quasi tutta l’opposizione. Giusto per dire il livello da Bar dello Sport che ha raggiunto la politica italiana. Per non parlare del giornalismo, che uno come Montanelli (che era leggerissimamente di destra) un generale in servizio che straparla sui massimi sistemi lo avrebbe preso a pedate nel sedere.

Ma il punto, a pensarci bene, non è neppure questo. Il punto vero - e lo abbiamo già visto in azione mille volte e mille altre ci attendono nel futuro in ogni post, in ogni talk show, in ogni titolo di giornale - è che, a prescindere dal suo reale valore, dal suo reale interesse, dalla sua reale competenza, appena una persona entra a far parte, per merito, per demerito o per caso, poco importa, del carrozzone mediatico, si trasforma immediatamente in una maschera, in un burattino, in un guitto. In una macchietta, appunto.

Lui, il soggetto nuovo, il grande esperto, il commentatore arguto, che sia un virologo, che sia un politologo, che sia un filosofo, che sia un sindacalista, che sia un terrapiattista o quello che volete voi e che magari avrebbe anche qualcosa da dire, una tesi fondata, un’esperienza interessante, una provocazione intelligente, nel giro di cinque minuti si tramuta in uno spassoso personaggetto, uno dei tanti, uno dei mille, della pochade televisiva-digitale, dove alla fine tutti sbraitano, tutti urlano, tutti sudano, tutti catoneggiano, tutti si indignano, con il desolante risultato che il telespettatore non capisce una mazza, intuisce che è tutta una buffonata e alla fine generalmente cambia canale o guarda il programma sapendo che è solo una variazione dell’Isola dei famosi o del Grande Fratello vip.

E il nuovo personaggio di cui sopra, appena viene toccato dal Re Mida della notorietà, in maniera insinuante, ma implacabile inizia a trasfigurarsi, ad atteggiarsi, a prendersi sul serio, a parlare in terza persona come Maradona ai tempi d’oro, a pensare di essere un fenomeno, uno scienziato, un cervellone e tu, se sei minimante accorto, osservi con grande pena questa trasmutazione antropologica, questa possessione demoniaca che fa di una persona magari anche normale l’ennesimo pagliaccio alla corte dei miracoli nel diorama dello showbiz globale. Perché sai perfettamente - questa la cosa più avvilente - che capiterebbe la stessa cosa anche a te.

Se avete fatto caso alle ultime esibizioni in pubblico di Vannacci - ripetiamolo, le sue tesi non contano, potrebbero essere anche l’esatto contrario, potrebbero anche essere di sinistra estrema, fluida e buonista: sarebbe lo stesso - avrete notato che è diventato arrogante e tracotante e borioso e irridente, e che piglio e che toni e che occhi di bragia, la stessa identica metamorfosi che aveva avviluppato il professor Orsini (Orsini chi?), il professor Burioni (Burioni chi?) o il leader della “Sardine” Mattia Santori (Santori chi?) e tutte le altre dozzine e centinaia e migliaia di carneadi sbucati dall’oscurità e poi rientratici dopo essere stati fatti a pezzi dal tritacarne della sedicente informazione globale. Avete presente “Illusioni perdute” di Balzac? Più o meno una roba del genere, due secoli dopo.

Tutto qui. Nessuna novità. Nessun contenuto. La solita parata circense nella quale il miracolato, nei suoi quindici minuti di notorietà, viene preso, strizzato e spremuto come un limone per poi essere buttato nel secchio, mentre nel frattempo il miracolato di cui sopra non manca di farsi infettare da una mitomania egoriferita degna di una tesi di laurea in psichiatria: Vannacci che parla alle Nazioni Unite, Vannacci che riceve il Nobel per la pace, Vannacci che scrive “Guerra e pace 2 - La vendetta”, Vannacci che sbarca su Marte, Vannacci che guarisce gli scrofolosi, Vannacci che cucina l’astice alla catalana, Vannacci che è stato azzurro di sci, Vannacci che guarda la Corazzata Potemkin, Vannacci che sfida Godzilla, Vannacci che si mette il cappello del colonnello Tejero, Vannacci che accarezza bambini biondi, Vannacci che invade la Polonia…

E magari - hai visto mai? - c’era anche qualcosa di buono nel suo saggio. Ma questo, al circo Medrano della repubblica delle banane, non interessa a nessuno.

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