Il futuro delle Rsa fra risorse e formazione

Dissolta, nel segno della scienza e del progresso la massima latina “Senectus morbus est”, cioè la vecchiaia è una malattia, resta aperta quella questione sociale, di carattere assistenziale, economico, affettivo, che la longevità si porta inevitabile con sé.

I colleghi di questo giornale hanno ben documentato negli scorsi giorni la situazione delle case di riposo del nostro territorio, alle prese con corpose liste di attesa per l’accesso, per l’aumento dei costi di gestione, difficoltà a reperire personale e soprattutto con una conseguente lievitazione delle rette che ormai variano da un minimo di 2.000 € al mese ad un massimo di oltre di 3.000, con una media di 80/90 € al giorno.

Insomma ci sono intere e numerose famiglie toccate nel vivo da questa prova che deve conciliare la borsa con la vita. A parte le fasce di reddito alto, il nodo si presenta incombente e assiduo agli sportelli delle RSA.

In provincia di Lecco e’ presente una buona e ben distribuita rete di RSA ( così si chiamano correttamente le case di riposo), quasi 30, dalla più piccola di Premana con una ventina di posti alle centinaia dell’Iram di Lecco e del Pio albergo Trivulzio di Merate. Mediamente le rette sono inferiori a quella di Monza e Milano,grazie anche al fatto che la stragrande maggioranza delle nostre sono gestite da enti senza fine di lucro.

Ma se calcoliamo che, grosso modo, una pensione da lavoro degli attuali anziani supera di poco i 1.000 € e che l ’eventuale indennità di accompagnamento non supera i 500 € già spicca una differenza significativa, destinata a generare tensione nelle famiglie e tra i figli e tra questi e gli enti locali per la copertura dell’integrazione mancante. Il solo comune di Lecco spende oltre 500.000 € l’anno per tali integrazioni.

Sempre più spesso capita che coniugi costretti al ricovero debbano vendere il proprio appartemento per coprire la retta finchè campano. Il danno economico è certamente inferiore alla stretta al cuore perché quelle quattro mura acquistate a suon di sacrifici sarebbero l’eredità da consegnare a figli e nipoti nel solco di una tradizione assai forte alla nostra latitudine.

I gestori delle case di riposo concordano che una leva fondamentale per l’equilibrio economico è l’adeguamento dei contributi che ricevono da Stato e Regione per le funzioni sanitarie che svolgono, ferme sostanzialmente da anni ed erose ( oltre che dalla drammatica emergenza pandemica) da una ripartita inflazione e dai doverosi incrementi contrattuali. E’ una voce di bilancio che parlamentari e consiglieri regionali d’ogni colore dovrebbero ascoltare e tradurre in proposte concrete nelle rispettive sedi isitituzionali.

Riteniamo tuttavia necessario accompagnare questo schema con altre misure sia di carattere straordinario, sia ordinario. Sul primo aspetto torna condivisibile la proposta di Giuseppe Canali, presidente quasi monarchico dell’ “Airoldi e Muzzi” laddove prospetta un piano del welfare famigliare simile a quello adottato con i minori per i nidi: un intervento che da un lato finanzi l’ aumento dei posti letto a disposizione dei cittadini in convenzione con ATS e Regione ( sono oltre 200 i posti in questo limbo di attesa in Provincia di Lecco) e dall’ altro sostenga con misure specifiche famiglie a basso reddito nell’accesso al servizio.

Certo anche le RSA devono fare la loro parte, razionalizzando le spese, condividendo la gestione di professionalità e servizi anche ricorremdo all’uso di nuove tecnologie, aprendosi al territorio anche con interventi per gli anziani non ospiti, come l’ assistenza domiciliare.

Il passaggio deve trasformare insomma le RSA in soggetti attivi per garantire quell’ assistenza territoriale che il Covid ci ha insegnato ( amaramente) a potenziare, per evitare che il ricovero sia l’unica alternativa.

Infine non possiamo eludere che gran parte dei nostri anziani fragili sono assistiti al proprio domicilio da badanti , per lo più di origine straniera, con una necessità di supporti di ogni genere per poter svolgere in modo adeguato il proprio lavoro di cura.

Azzardo in merito una proposta: che le case di riposo diventino riconosciute, anche economicamente, quale riferimento formativo ( sul campo) e operativo nel quotidiano ( insieme ai medici di base ed ai servizi pubblici) per le centinaia di badanti ai quali affidiamo i nostri anziani e che spesso esercitano in solitudine una domiciliarità che rischia di diventare una sorta di gabbia d’oro per l’assistito soprattutto laddove non e’ presente o è carente il tessuto famigliare e di vicinato. Lecco ha innovato tanto nel sociale, perché non tentare anche questa sfida?

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