Inesorabile d’estate mi affiora la domanda sul destino dei Piani Resinelli. Non mi arrendo insomma all’idea che un simile patrimonio naturale non abbia trovato nel tempo investitori in campo turistico.
Se Lecco avesse annoverato, nella sua invidiabile antologia di imprenditori di razza, una figura che avesse verso il turismo il bernoccolo, la destrezza, la padronanza dimostrati nel trasformare il ferro in oro, di sicuro quell’angolo di paradiso, ai piedi della Grigna, non dormirebbe il lungo sonno della decadenza e del silenzio, infranti solo dall’assalto di auto e moto che nei fine settimana occupano ogni metro di suolo richiamando il caos dei giorni feriali nelle nostre città.
Non cederò alla tentazione di narrare dei miei Resinelli, quelli delle vacanze adolescenziali nella casa dei nonni con il maestoso faggio, finito sui libri di botanica, sotto il quale non nascevano porcini, ma fiorivano amicizie, incontri anche politici, giochi da ragazzo, compreso il campo di bocce teatro di sfide, le più improbabili, di quelle che piallano ceto, censo, mestieri, professioni e persino anagrafe. Eppure è da lì che occorre partire per raccontare le occasioni perdute, i progetti sfumati, le promesse di investimenti dissolte in qualche spicciolo per l’illuminazione e qualche spanna d’asfalto.
I comuni di Lecco, Mandello, Abbadia, Ballabio “tenutari” di quell’autentica miniera di bellezze naturali a un’ora e minutaglia da Milano, non hanno mai trovato nè idee nè risorse per uno sviluppo che avrebbe reclamato ben altri attori. Tantomeno ci si aspetta dalle due Comunità Montane che insistono su quell’aerea e che sono più propense ad accapigliarsi e allearsi.
Nè venivano in soccorso ai magri bilanci gli incassi del pedaggio che si pagò a Ballabio fino al 1980. Eppure come non indovinare che le guglie della Grigna, le più frequentate e ambite dagli alpinisti di ogni spicchio della terra, intrecciate con le passeggiate al Coltignone e al Belvedere e con gli scenari che si dischiudevano inimitabili quando il cielo era di quell’azzurro che ammaliò il Manzoni, fornivano al mercato dell’offerta turistica un’occasione unica.
Da piccolo mi raccontavano che nei giorni di estremo nitore si potevano vedere il Monte Rosa e la Madonnina del Duomo di Milano. Balbettante in geografia non vorrei essermi infilato in quel territorio di bestialità care al ministro della Cultura Sangiuliano. Penso tuttavia di aver reso l’dea.
Non cancello i tentativi di promuoverne lo sviluppo con la costruzione di alberghi, di rifugi, di case vacanza, di modesti impianti sciistici (le piste non le puoi forgiare se la stoffa non c’è), di quel mostro di grattacielo che segnò il punto più basso dell’architettura di montagna delle nostre latitudini.
Sono sempre mancati purtroppo progetti e piani urbanistici, mentre non si possono disconoscere lo spirito di intrapresa e la fantasia dei volonterosi che organizzarono, tra l’altro, le corse in moto e l’arrivo del giro d’Italia. Credo di essere tra i rari lecchesi che non abbiano provato a cimentarsi con una corda, magari solo per l’emozione di scalare lo spigolo del Nibbio, un tratto di elementare difficoltà che inaugura la serie delle vie di sesto grado aperte dai più bei nomi dell’alpinismo riassunto nel mito dei Ragni ma la leggenda dei Cassin, dei Mauri, degli Alippi, dei Ferrari, dei Ballerini, dello stesso mio amico Antonio Peccati, detto Briciola, le ho vissute, ascoltate e anche scritte nelle mie prime prove con la penna oltre il recinto dei temi in classe.
Possibile che non si sia potuto sfruttare questa galleria di campioni, arruolandoli come testimonial di un luogo che il Padreterno di sicuro avrà creato in un giorno di grazia, valorizzando le loro imprese, le immagini, le storie, le conquiste e le tragedie, raccogliendole in un museo della montagna? Va da sè che non saprei indicare nè ricette pronto uso, nè tantomeno soluzioni strutturali, ma non ci vuole un esperto per capire che solo da una collaborazione tra istituzioni e privati generosi e lungimiranti possa nascere un’idea vincente in grado di assicurare un futuro al passo con un turismo che ormai ovunque sa offrirti la luna.
Confcommercio, nel 2016, propose al comune di Lecco, targato Brivio, un triplice concorso di idee, pronta a finanziarlo, per il rilancio del Lungolago, di Erna e dei Piani Resinelli. Il primo progetto come si sa è partito con i fuochi d’artificio delle archistar perdendo via via luminosità e rango, mentre i Piani Resinelli giacciono in qualche cassetto municipale. Su Erna invece pare di cogliere qualche stormir di fronde. Non posso certo tacere che il Comune si è inventato lo slogan “amo la montagna” che rasenta la genialità tanto è ovvio per un lecchese, come dire che i pesci amano l’acqua, i napoletani la pizza e il mandolino e il sindaco Gattinoni la Scigamatt. In attesa dell’effetto limo che il Nilo produce quando esonda, rendendo fertili le sponde, mi viene in mente che per gli enti locali sono disponibili finanziamenti, affluenti del Pnrr, per sostenere progetti non aleatori, ma funzionali alla crescita dei territori e alla salvaguardia dell’ambiente. I nostri rappresentanti politici, da Lecco a Bruxelles, potrebbero farsene carico e fare bella figura.
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