Il debito si riduce aumentando il Pil

Da Sergio Mattarella al workshop Thea di Cernobbio e da Mario Draghi alla presentazione del rapporto sulla competitività ai 27 ambasciatori dell’Ue arriva lo stesso messaggio: il debito si riduce se si aumenta il Prodotto interno lordo.

Al capo del governo italiano sono bastate quindi all’incontro della finanza internazionale sul lago di Como poche parole: la strada è già tracciata. Da luglio con la Commissione europea si è concordato che per uscire dalla procedura per deficit eccessivo non vi è che una via: ridurre il debito. Una compattezza di intenti al vertice istituzionale e tra gli addetti ai lavori che assegna all’Italia una patente di credibilità. Il presidente della Repubblica ha riassunto il concetto in due parole: l’Italia è un pagatore affidabile. Ed è necessario ribadirlo perché i mercati internazionali sono spesso influenzati dagli umori della finanza anglosassone e nordeuropea che guarda ai Paesi del sud Europa con un sentimento di simpatia vacanziera che subito si trasforma in diffidenza se non anche in malcelato disprezzo quando si passa alla finanza.

L’espressione “Pigs “(Portogallo, Italia, Grecia, Spagna) che in inglese sta per “maiali“è stata coniata da quelle parti. Non vi è che un modo per sottrarsi agli alti e bassi di un «termometro opinabile» per usare la definizione di Mattarella: svincolarsi dal ricatto di dover attingere risorse di denaro sui mercati internazionali. La via maestra è quella di fare meno debito ed al contempo rilanciare l’economia per acquisire una crescita stabile nel tempo. Si tratta quindi di incidere su fattori strutturali che si misurano negli anni e che non si prestano ai calcoli di breve periodo. I partiti sono tentati dalle misure che si misurano all’istante e si riverberano sugli elettorati in termini di immediata soddisfazione. Questo spiega la richiesta continua in un Paese di anziani e a forte calo demografico di agevolare l’accesso all’età pensionabile. Poi seguono le fantasmagorie degli ecobonus, una follia quest’ultima che è costata all’Italia una procedura d’infrazione per deficit eccessivo. Per decenni la politica italiana è rimasta ostaggio di questa legge non scritta ma tassativa per ottenere consenso a spese della salute economica del Paese.

L’accordo sul nuovo Patto di stabilità e crescita in sostituzione dei famigerati criteri di Maastricht costringe i governi a scegliere tra un risanamento scaglionato in sette anni e condizionato a riforme per la crescita ed uno in soli quattro anni che avrebbe un impatto maggiore sul bilancio dello Stato e quindi anche sulla spesa sociale e sulle condizioni di vita dei cittadini. L’Italia ha scelto di affrontare il percorso in modo da vincolare l’esecutivo che verrà, con o senza Giorgia Meloni. E anche questo è un segnale di continuità. L’Europa funziona e anche un governo di destra con punte di massimalismo euroscettico al suo interno l’ha capito.

Il possibile ritiro di Intel dall’investimento tedesco per una fabbrica di semiconduttori nonostante 10 miliardi di sovvenzioni fa giustizia delle parole d’ordine che girano in Europa e che si declinano con “la Germania ai tedeschi” e il sovranismo. Tutte rivendicazioni sacrosante ma possibili solo all’interno dell’Europa. La Germania da sola è esposta agli umori del capitale internazionale. Per incentivare modelli di crescita a lungo termine la ricetta Draghi suggerisce di attivare i prestiti della Banca europea degli investimenti ed emettere debito comune europeo.

Dopo che la Corte costituzionale tedesca ha cassato un fondo di 100 miliardi fuori bilancio, il vincolo dello 0,35% di deficit nella spesa pubblica appare a molti la vera causa del ritardo tedesco. Un argomento determinante per il futuro dell’Europa.

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