Il debito, ferita aperta in Europa

La Saar è il più piccolo Land della Germania e ha una struttura economica simile a quella italiana. Bassi salari e anche una produzione con valore aggiunto medio basso. I governi regionale e federale hanno quindi messo mano al portafoglio e annunciato incentivi.

Nella guerra delle sovvenzioni c’è sempre però qualcuno che offre di più. Complice la crisi dell’elettrico, Ford si è ritirata, lo stess o ha fatto un costruttore americano di microprocessori e alla fine anche la cinese Svolt ha detto no. Non costruirà le batterie per le auto elettriche. Che fare? Con i soldi promessi ai costruttori il governo si è buttato sulla ricerca e sull’università. Obiettivo formare personale qualificato, ma soprattutto creare l’ambiente favorevole per la collaborazione strutturale fra università e impresa. E poi facilitare la nascita di start up. Una ricetta che si adatta anche all’Italia. Sul modello del “grant” universitario. Si finanzia la bontà dell’idea e poi la si segue nella sua attuazione. A scansione regolare si controllano le fasi e quindi i passi avanti. Capitale minimo ma idee tante. E a quel punto è solo un problema di probabilità , prima o poi si arriva al risultato. Un terreno di coltura dove le aziende sono a loro agio perché possono aumentare il valore aggiunto del loro prodotto.

Morale: non inseguire le grandi aziende ma fare in modo che siano loro a venire da te. Un azzardo certo, ma la necessità aguzza l’ingegno. E l’Italia che aspira a contenere il debito ha già portato a risultati. Le agenzie di rating mantengono il giudizio e in alcuni casi lo migliorano quantomeno nelle prospettive. Con Francia e Gran Bretagna che vedono salire i tassi sui titoli in emissione è già un risultato.

Ma il problema rimane. Il governo britannico si propone una manovra da oltre 40 miliardi di sterline. Le tasse andranno al 38% del Pil, un livello mai visto nel Paese dal dopoguerra. Il resto a debito. Mario Draghi plaude all’iniziativa e incita l’Unione europea a seguire l’esempio. Ma la Borsa non gradisce. Gli interessi del debito crescono e la credibilità finanziaria del Regno Unito ne soffre. Quella del debito è una ferita aperta in Europa. Aumentare le tasse per finanziare gli investimenti non trova consenso nei 27 Paesi dell’Ue. Ed è il motivo per il quale l’ex presidente della Bce insiste per un debito europeo. Non incide direttamente sulle tasche dei cittadini, è quasi invisibile e quindi sopportabile. Certamente per quei Paesi come l’Italia che si trovano tra l’incudine di un impossibile aumento della tassazione e l’obbligo sottoscritto in sede europea di diminuire il carico del debito. Non lo stesso si può dire per quei Paesi che hanno un’esposizione debitoria bassa o comunque sostenibile. L’emissione di titoli a livello europeo andrebbe a garantire spese al di fuori del loro controllo. La bontà dei titoli emessi dall’Unione europea è misurata su quella dei Bund tedeschi. Chi acquista sa che alla fine a garantire il suo investimento sarà il Paese più forte, quello che anche in tempi di crisi ha i fondamentali a posto.

Questo spiega la veemente opposizione dei governi tedeschi all’assunzione di debito comune. Quando si tratta denaro e quindi di creditori e debitori la fiducia è il fattore decisivo. Non vi è dubbio che se l’Unione europea si limitasse alla Germania, ai Paesi del Nord e alla parte settentrionale dell’Est europeo non si sarebbe problema ad emettere debito comune. Le culture sono simili e l’idea di un bilancio sano condivisa. Ed è appunto questo l’assillo di Draghi. L’ex primo ministro italiano utilizza il suo sapere finanziario per andare oltre e costringere i Paesi europei ad una scelta. Non è detto che ci riesca ma è certo che senza l’aiuto del suo Paese fallirà. Una lotta più esplicita in Italia all’evasione fiscale sarebbe già un buon segnale.

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