Così a prima vista forse può sembrare pensiero folle. Invece non mi pare poi non tanto peregrina l’idea secondo la quale, davanti alle piogge torrenziali, sempre più frequenti a con l’aria di diventare ancora più cattive, agli allagamenti catastrofici che il cambiamento del clima ha “regalato” alle nostre italiche contrade, architetti, urbanisti costruttori di edifici e politici dovranno, una volta o l’altra guardare con attenzione agli edificatori di case del vecchio Siam, di altre terre dell’Estremo Oriente anche dell’India.
Le legioni di turisti italiani che passeggiano da decenni tra le risaie della fascinosa Thailandia, dalle “mille” attrazioni, forse si sono accorti che, in particolare nei paesi, nelle piccole città, attraversate da fiumi impetuosi talvolta aggressivi, che gli edifici, un tempo completamente di legno, da qualche decennio anche di mattoni e cemento, sono tutti sopraelevati almeno di un metro. Appoggiano su grossi pali conficcati nel terreno. Come nei tempi antichi la gente vive sulle palafitte.
Quando si scatena il monsone o il fiume dirompe con allagamenti improvvisi e copiosi la gente continua ad abitare, a vivere, mangiare, dormire, tranquillamente nella sua casa sopraelevata. Una semplice scala permette l’ingresso sulla veranda che è parte importante degli edifici. Sono tutte a un solo piano, o al massimo due, quindi le palafitte riescono a compiere tranquillamente il loro lavoro dì sostegno. Certo per i fabbricati grandi e grossi delle città è tutta un’altra storia. Ma restiamo nei paesi.
Qualche anno fa in una delle mie vacanze-lavoro stavo raggiungendo con un’auto a noleggio con autista l’estremo nord della Thailandia dove contavo di “mettere il becco “ nel famoso Triangolo d’Oro, con i suoi campi di papavero, oppio ed eroina. Ci fermammo a Fhang, un paesotto rurale per una veloce merenda. Era luglio e imperversava il monsone ed infatti appena saliti i gradini che portavano al piano rialzato di un, chiamiamolo, ristorantino, il cielo plumbeo si scatenò con una pioggia così violenta che temetti per la resistenza del tetto di legno. In pochi momenti la piazza fu sommersa dall’acqua, così alta da lambire il piano rialzato dove, con tanta apprensione, sulla veranda stavamo mangiando. Ero però spaventato mentre osservavo che per l’autista e i ragazzi che servivano era invece “come se niente fosse”.
Il diluvio durò un’oretta buona poi come avviene con il monsone il cielo si ruppe e nuvoloni bianchi come panna montata solcavano il cielo di un azzurro intenso, in basso splendeva il verde delle risaie. Tutto bene, però resisteva il problema del possente allagamento. L’autista disse che dopo mezz’ora la strada sarebbe stata asciutta. Mi spiegarono che il terreno, strade, piazze erano provviste di drenaggi molto efficaci grazie ai quali l’acqua andava velocemente al fiume. Però c’è sempre il rovescio della medaglia, il fiume si gonfiava troppo e straripava tornando ad allagare i paesi. Le abitazioni erano rialzate, solo che questi allagamenti dovuti al fiume duravano molto di più. Ma lì il popolo thay si muoveva sempre a piedi nudi nell’acqua, senza stivali. Ed anche le automobili erano costruite in modo da sopportare inondazioni.
Dunque torniamo all’antico e per giunta orientale? Sarebbe forse proprio opportuno almeno per edifici, per le villette, nei luoghi sempre allagati come di questi tempi in alcune regioni. Però l’inarrestabile alluvione del progresso, del mito del benessere conquistato grazie a nuove invenzioni della nostra sempre più veloce epoca, ha portato anche il popolo siamese a dimenticare la bella cultura del passato.
Gli edifici moderni non sono rialzati, troppo grandi. Ed è così che qualcuno mi ha detto che gli edifici sulle palafitte sono un’utopia. Comunque se fossi un architetto urbanista e un politico un pensierino ce lo farei. Ormai da noi il clima talvolta è più violento del monsone dell’Oriente.
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