Primi raggi di sole sulle relazioni sino-americane. Siamo ancora lontani da un vero e proprio “reset” nei rapporti bilaterali, poiché troppe sono le questioni aperte, ma i due Paesi sono tornati finalmente a dialogare costruttivamente, mettendo da parte i “diktat” dello scorso anno.
A Pechino Anthony Blinken - qui giunto per la seconda volta in 10 mesi - è stato accolto con tutti gli onori del caso, tenendo un lungo vertice col suo omologo Wang Yi e soprattutto incontrando personalmente il presidente Xi Jianping.
Tradizionalmente, assai di rado, il leader cinese acconsente ad aver contatti con politici stranieri che non siano dei capi di Stato. Con Blinken non è stato così. E questo particolare la dice lunga sull’importanza della visita del segretario di Stato Usa.
Dobbiamo essere “partner e non rivali”, gli ha detto Xi Jinping, indicando la “via maestra” da seguire nel prossimo futuro. Appunto. Anche se non viene dichiarato pubblicamente, dietro alle quinte cinesi ed americani hanno definito i classici “confini rossi” o “linee rosse” che non vanno superati o superate nelle relazioni bilaterali.
Le ragioni per una tale scelta sono molteplici: la principale è che i due Paesi vogliono evitare di farsi trascinare in uno scontro militare tra loro a causa delle azioni di altri attori internazionali. Gli esplosivi scenari globali inducono Pechino e Washington a buttare oggi acqua sul fuoco delle loro incomprensioni.
La seconda ragione è che il presidente Xi teme il ritorno alla Casa bianca di Donald Trump, protagonista tra il 2016 e il 2020 di una crociata senza quartiere anti-cinese con l’imposizione di pesanti dazi sulle merci provenienti dall’“Impero celeste”. Meglio accordarsi, quindi, ora con Joe Biden, tentando di raggiungere in breve tempo una maggiore stabilizzazione dei rapporti commerciali.
Le due superpotenze del XXI secolo, è vero, si stanno mostrando i muscoli a vicenda da tempo: gli Usa hanno appena approvato aiuti militari a Taiwan per 1,9 miliardi di dollari e la Cina – stando a Blinken – sta continuando a fornire tecnologia di “doppio uso” alla Russia, tecnologia utilizzata da Mosca in Ucraina.
Ma addirittura arrivare allo scontro diretto non è conveniente per nessuno. Anzi. Pechino e Washington hanno la comune incombenza di tenere calmo il giovane leader nord-coreano Kim Jong-Un, le cui recenti bellicose dichiarazioni preoccupano e non poco le cancellerie mondiali.
Lo stesso vale per il Medio Oriente: con Biden che tenta di far ragionare l’israeliano Netanyahu e Xi gli iraniani, da cui Pechino compra oltre l’80% dell’export di petrolio di Teheran.
In queste ore colpisce come la diplomazia cinese, abbassando i toni della discussione con gli americani, abbia ribadito che è fondamentale tenere come punti di riferimento sulla bussola dei rapporti bilaterali il “rispetto reciproco” e il “mantenere gli impegni presi”.
Come dire, adesso che, dopo anni di tensioni, siamo riusciti a trovare il bandolo della matassa vediamo di navigare insieme di concerto in questo mondo tempestoso. Giungerà poi il giorno per risolvere le altre incomprensioni.
Cinesi e americani paiono pertanto destinati ad una tregua (nei loro complicati rapporti economico-geopolitici) che, speriamo, sfoci in un nuovo riequilibrio nelle relazioni bilaterali.
La recente visita del cancelliere tedesco Scholtz, che a Pechino ha parlato a nome dell’Unione europea - evidenziando la minaccia russa in Ucraina per il Vecchio continente -, ha aiutato questa svolta.
Prossimamente in Cina è atteso Vladimir Putin, ma a questo punto i giochi paiono già fatti.
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