I MORTI NEL MARE LE NOSTRE COSCIENZE

Nelle stesse ore in cui si stanno svolgendo le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo da Lampedusa, avamposto d’Europa, giungeva la notizia di nuovi sbarchi e dell’avvistamento di undici corpi affogati che galleggiano nel Mediterraneo, fotografati dall’aereo di ricognizione Seabird di Sea Watch e recuperate dalla nave Geo Barents di Medici senza frontiere. Undici corpi che pesano sulla coscienza di noi cittadini comunitari. Non è retorica. Si tratta di fatti, di persone, di morti. Undici corpi che devono farci riflettere, se ancora siamo dotati di un briciolo di umanità. Si dice che queste elezioni rappresentano quasi un referendum sul futuro della Ue. In questa concezione del futuro c’è sicuramente il rapporto con i migranti che bussano alle porte del Vecchio Continente, sempre più vecchio anche anagraficamente. Dobbiamo continuare ad alzare muri impedendo le norme più elementari della legge del mare? La nave che ha recuperato i corpi - con 165 naufraghi salvati a bordo - ha dovuto dirigersi a Civitavecchia e successivamente è stata dirottata a Genova e non in un porto della Sicilia, con complicazioni enormi denunciate persino dalla procura di Agrigento, che ha evidenziato «le plurime criticità di ordine normativo, umanitario e costituzionale sul soccorso in mare». Dobbiamo far finta che l’Europa non abbia bisogno urgente di manodopera, come ha confermato il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta?

I sindaci dell’Agrigentino, ancora una volta, hanno dato grande disponibilità al seppellimento dei feretri. Le salme sono state trasportate con una motovedetta al porto di Lampedusa, e da lì destinate a Porto Empedocle.

Non c’è pace nemmeno da morti. Dobbiamo ancora una volta disattendere il senso del termine di «comunitario» per far sì che ogni Stato si chiuda nel proprio egoismo come è avvenuto finora? È stato detto che le nuove norme che ostacolano da parte delle Ong o di imbarcazioni private i salvataggi in mare servono come deterrente, per scongiurare nuove pericolosissime traversate.

Ma come si vede spesso, sotto la regia spietata dei trafficanti di uomini. Si è anche detto che al salvataggio può benissimo provvedere la Guardia Costiera libica, ma così non è. Anche in questo caso, la Guardia Costiera, sospettata spesso di essere in accordo con gli stessi trafficanti, si è ben guardata dall’intervenire.

«Questo è ciò che accade nel Mediterraneo, anche quando nessuno lo vede. Abbiamo provato a contattare una motovedetta libica – in inglese e in arabo – via radio, affinché recuperasse i corpi, ma da loro non c’è stata alcuna risposta. Per loro e per l’Unione Europea queste persone non valgono nulla, neanche da morte», ha commentato un portavoce della Organizzazione non governativa Sea Watch. Non si possono delegare i soccorsi alla guardia costiera libica.

Dunque che cosa deve avvenire ancora per cambiare le leggi, per assicurare i soccorsi in mare a degli esseri umani, per gestire i flussi migratori, per assicurare corridoi umanitari che permettano a chi cerca fortuna in Europa di approdare sano e salvo, spinto dalla desertificazione, dalle guerre e dal desiderio di un futuro meno infernale?

Finora non c’è una risposta. Ma l’estate è alle porte: Lampedusa chiama e richiama continuamente Bruxelles e Strasburgo attraverso i naufragi che non si fermano. Rimane soltanto l’immagine assordante di quei corpi a galla. A meno che non si voglia impedire agli aerei di ricognizione di sorvolare il Mediterraneo, così da non accorgersi di nulla, nascondendo le vittime dei naufragi alla nostra vista di cittadini europei.

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