Proviamo a inoltrarci nella giungla della politica per capire quale fauna la abiti alla nostra latitudine (ma tutto il mondo è paese) senza una caccia agli esami del sangue, al certificato di nascita, al titolo di studio, al mestiere, alla professione, alla fedina penale. Beh, a quest’ultima forse è meglio dare un’occhiata e magari anche alla squadra del cuore. Doveroso accertamento la prima, un vezzo la seconda, eppure c’è un fondamento nella suddivisione tra “bauscia” e “casciavit”, tra interisti e milanisti, una sorta di diversità alla nascita, se non antropologica certamente di natura sociologica e identitaria. A offrirmi lo spunto per questa riflessione vergata nel fine settimana sono le riunioni dei riformisti della Dc che vorrebbero tornare alle stagioni dell’albero della cuccagna, mentre rischiano tragicamente di restare al palo.
A Milano l’officiante è stato Pierluigi Castagnetti, mentre a Orvieto ha celebrato Giorgio Tonini, scambiandosi però voce e immagini via satellite, forse per farsi coraggio o già avviati sulla via del correnti, marchio di fabbrica dello scudo crociato.
A me che quell’universo ho frequentato da quando portavo i calzoni corti, è venuto il dubbio che la loro lectio magistralis si rivelerà alle urne un’orazione funebre.
Ad ogni modo, che si registri un fattore di novità e di salto generazionale, lo evinco dalla mia quasi totale ignoranza delle figure in campo. E fin qui siamo a cavallo, anche se ritengo (ma solo pro domo mea) che l’età non sia un fattore dirimente, almeno non in termini assoluti. Papa Bergoglio ha 88 anni ed è già secondo per longevità tra gli eredi di Pietro. Per virare sul profano, lo stesso vale per Pippo Baudo e Lino Banfi, come dire coloro che con la scomparsa di Silvio Berlusconi formavano la quadriglia dei coetanei segnati dalla B e celebrati dai rotocalchi ad ogni genetliaco.
Sul fronte lecchese mi piacerebbe ricordare il pimpante ottuagenario Giuseppe Canali, presidente dei “Vecchioni” alias gli ospiti degli Istituti Airoldi e Muzzi, da noi allievi delle medie amabilmente chiamati così quando ancora non era proibito definire cieco il non vedente, spazzino l’operatore ecologico e bidello l’assistente scolastico.
Certo, l’anagrafe non è zavorra, quando ci siano competenza, esperienza e buona salute. Quella di chi magari non ha passato la vita a fare sport con maniacale assiduità. Non provo, in tal senso, ammirazione e neppure tenerezza per gli anzianotti che corrono anche le maratone di New York con il fanatismo dei musulmani a La Mecca. Mi congedo dall’argomento ricordando che oltre a essere affari loro, i cimiteri sono zeppi di cursori che si sono allenati fino all’ultimo respiro.
Non ho perso il filo ed è un attimo tornare ai facenti politica di casa nostra sui quali metto la mano sul fuoco in ordine a quel reiterato “onestà onestà onestà” che per una stagione pompò i cinque stelle di Grillo che, saliti troppo velocemente, precipitevolmente caddero.
Ho già avuto modo di registrare, proprio da queste colonne, la linea verde che guida oggi i partiti lecchesi. Manuel Tropenscovino per il Pd, Alessandro Negri per FdI, Roberto Gagliardi in Forza Italia, Emanuele Manzoni a Sinistra, Eleonora Lavelli in Azione (in tutti i sensi, considerata la sua proattività), tanto per citarne qualcuno, hanno la possibilità di portare idee ed energie al fuocherello un po’ stentoreo di qualche sezione locale.
Il mio augurio, per tornare al doppio appuntamento centrista del weekend, è che mettano le idee al centro e non, come machiavellicamente si augurerebbe qualche “Vegiún” della politica nazionale, e non prevalesse quell’idea del centro, puntuale come un’influenza d’inverno. Un virus che non si combatte con gli antibiotici ma con l’umiltà e la consapevolezza che di sigle e di simboli ce ne sono fin troppi e che latitano invece pensiero e progetti, quelli sì essenziali per vivificare partiti e coalizioni che, anche a Lecco sono più attratti dalla spartizione dei posti (vedi le recenti perverse alleanze per conquistare il sottogoverno degli enti sovracomunali).
Insomma questioni di poltrone, sedie, seggiolini. Mancano solo i tavoli e poi l’’industriosa manifatturiera lecchese potrebbe essere sostituita da una catena di mobilifici.
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