Guerra o pace: momento cruciale

L’arrivo, anzi il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, prima ancora di materializzarsi con qualche dichiarazione importante o qualche nomina, per non parlare dell’insediamento lontano più di due mesi, ha riportato quasi d’imperio sulla scena un’idea che per quasi tre anni è stata respinta con indignazione dall’intero Occidente: ovvero, che l’invasione russa dell’Ucraina e la guerra che essa ha generato possano concludersi con un negoziato che non passi per una sconfitta della Russia.

Si fa ogni genere di ipotesi (il Donbass e la Crimea alla Russia, l’Ucraina nella Nato in due-cinque-dieci-vent’anni, Zelensky “dimissionato”, Putin costretto a fermarsi se vuole trattare…) sulla base di impressioni, sensazioni, desideri, quando proprio va bene sulla base di voci raccolte qua e là. Un po’ come per la storia della telefonata fra Trump e Putin: il Cremlino smentisce, i collaboratori di Trump tacciono, la telefonata potrebbe esserci stata ma anche no, in fondo non farebbe alcuna differenza.

È un rumore di fondo un po’ futile ma non inutile. Per come si sviluppa ci dice, per esempio, che l’Europa non è tenuta in gran conto e, anzi, rischia di essere la prima vittima di quello che si presenta come un dialogo a tre fra Usa, Russia e Ucraina. Se Trump vorrà partire dall’Ucraina per mantenere le promesse elettorali, tra cui quella di spegnere i focolai di guerra per non coinvolgere gli Usa in crisi esterne, difficilmente si rivolgerà alla Ue. Bruxelles ha puntato tutto sulla sconfitta economica e militare della Russia, al punto da mettere in crisi il modello di prosperità di cui beneficiava l’intero continente, con in testa la Germania: energia (russa) a basso costo, trasformazione ed esportazione. Se avrà l’idea buona, Trump parlerà a Putin e Zelensky e poi, semmai, informerà gli europei. Se poi non avesse l’idea buona, ma decidesse di lavarsene le mani, Trump lascerebbe all’Europa il compito di prendere il testimone dagli Usa nel sostenere la resistenza degli ucraini. Prospettiva che difficilmente farebbe felice Zelensky, che non cessa di accusare gli europei di non mantenere gli impegni presi. E che costringerebbe Bruxelles a immaginare uno sforzo coordinato tra i 27 Paesi. Con Macron e Scholz in crisi, la Polonia che fa parte a sé e non va più d’accordo come prima con l’Ucraina, e la Gran Bretagna fuori dalla Ue e impegnata a leccarsi le ferite della Brexit, ottenerlo pare davvero improbabile.

Bisognerebbe poi prestare un po’ meno attenzione alle ipotesi, tutte da verificare, e concentrarsi un po’ di più sulla realtà, purtroppo facilmente verificabile. La guerra sta vivendo una fase cruciale che l’irruzione sulla scena di Trump, e la prospettiva di una fase politica nuova e da scoprire, sta solo inasprendo. Da mesi, cioè da quando è partita la campagna elettorale negli Usa, nel gioco delle manovre militari si è inserita anche la variabile del negoziato. Così i contendenti combattono sapendo che il tema ormai non è vincere la guerra (l’abbiamo scritto per anni che nessuno l’avrebbe davvero vinta) ma trovarsi nella posizione migliore quando arriverà il momento di trattare. L’operazione lanciata dagli ucraini nella regione russa di Kursk ha senso solo in questa prospettiva: per avere una fiche importante da giocare al tavolo del negoziato. Per questo Zelensky, contro il parere dei suoi generali, impegna le sue truppe migliori per difendere la porzione di terra russa che ancora sta occupando. E per lo stesso motivo, anche se per ragioni opposte, Putin sta radunando una forza di 50mila uomini, compresi gli ormai famosi soldati nordcoreani, per riconquistare la regione intera.La stessa cosa accade nel Donbass. I russi avanzano, anche a prezzo di perdite importanti, per prendere il controllo della maggior porzione possibile di territorio ucraino in vista di un ipotetico “congelamento” del fronte. E gli ucraini difendono ogni singola posizione, anche quelle più compromesse, per cedere quanto meno territorio possono, sempre pensando al momento in cui dovesse arrivare il cessate il fuoco. Siamo dunque in una fase molto delicata e rischiosa, come sempre quando si tratta di chiudere una guerra. E al netto delle sofferenze degli ucraini, che non potranno mai essere risarcite, a rischiare di più siamo noi europei

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