Il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz e il candidato alla cancelleria, il cristiano-democratico Friedrich Merz, rappresentano le forze storiche della democrazia tedesca. In vista delle elezioni per il rinnovo del Bundestag del 23 febbraio si sono confrontati in un faccia a faccia televisivo.
Due mondi in competizione, da una parte il partito più antico d’Europa con i suoi 162 anni di storia all’insegna della politica sociale e dall’altro la Cdu di Konrad Adenauer, Helmut Kohl e Angela Merkel. Uomini e donne che hanno segnato la Germania del dopoguerra e hanno portato il Paese ad un benessere condiviso. Un fondamento di democrazia che ora vacilla sotto la minaccia di una forza nazionalista e nostalgica che è stata definita icasticamente anti-antinazista. AfD (Alternativa per la Germania) è in crescita e vanta nei sondaggi un 23% che la pone al secondo posto dopo la Cdu accreditata di un 31% dei consensi. Una percentuale, quella dei cristiano-democratici, troppo bassa se si pensa al 41% di Angela Merkel nel 2013 e al 35% del 2005.
Da qui l’ambizione del candidato Merz di convincere gli elettori del partito liberale a passare dalla sua parte. Fdp nei pronostici non sembra raggiungere il 5% richiesto per avere seggi in Parlamento. Sarebbero voti persi e quindi tanto vale darli alla Cdu. Il fronte democratico si cannibalizza perché chi ha scelto la protesta non torna sui suoi passi e l’elettore di Alternative für Deutschland non è suscettibile alle lusinghe degli altri partiti. Creare un bastione della democrazia convogliando su un unico soggetto voti raccolti fra socialdemocratici, Verdi e appunto i liberali è la sfida per la Cdu.
I partiti del governo rosso, verde e giallo liberale hanno perso in credibilità. In tre anni hanno permesso al partito di Alice Weidel di raddoppiare i consensi. È rimasta solo la Cdu a far da argine alla marcia del populismo conservatore antisistema. Con un terzo dei seggi assegnati ad AfD si creerebbe in Parlamento una minoranza di blocco su tutte le leggi di impatto costituzionale. Una questione di non poco conto che ha riflessi anche in Europa. I socialdemocratici hanno chiesto di modificare prima del voto la legge costituzionale che obbliga al vincolo di bilancio. I cristiano-democratici si sono opposti perché sanno che una parte consistente del loro elettorato è contraria. E tuttavia il candidato cancelliere Merz non ha escluso modifiche nel tempo. Con una minoranza di blocco AfD al Bundestag i vincoli rimarrebbero in Costituzione. Come potrebbe un governo tedesco appoggiare iniziative per la creazione a livello europeo di fondi dedicati alla difesa o agli investimenti strutturali fuori bilancio o finanziati con emissione di titoli dell’Unione europea?
Ecco che le elezioni tedesche diventano centrali anche per l’Italia. Giorgia Meloni ha preso l’impegno di portare al 2% del Pil le spese della difesa anche prima del termine del 2028. Ma al 3,5%, come si ipotizza sull’onda delle richieste di Trump, le finanze italiane non potrebbero mai arrivare. Il capo del governo italiano conta sulla collaborazione di Ursula von der Leyen ma se il governo tedesco è bloccato anche i centri direzionali dell’Ue devono uniformarsi. L’alternativa a quel punto è una sola: distogliere fondi dalla sanità, dalle pensioni, dagli investimenti pubblici strategici per girarli ai carri armati. Oppure tagliare sul personale amministrativo pubblico come sta accadendo in Usa con il licenziamento in massa e sburocratizzazione selvaggia ad opera di Elon Musk. È l’angoscia che attanaglia i governanti di tutta Europa e rende tutti i democratici del continente empatici con un Paese che è stato ammirato ma difficilmente amato. Ora la Germania lotta contro il populismo e nella sua decadenza industriale ed economica è diventata una di noi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA