Stupirsene sarebbe da ingenui: il funerale di un Papa diventa sempre un’occasione anche politica. Se non altro perché vi partecipano i grandi della Terra, per primi magari quelli che, vivo il Papa, hanno cercato in ogni modo di ignorare i suoi insegnamenti. Succede proprio questo con Papa Francesco, nell’uno e nell’altro senso.
In Piazza San Pietro, domani, mancheranno i due ricercati dalla Corte penale internazionale, Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu ma gli altri ci saranno tutti. E già si mormora di trattative da tentare nelle pieghe del lutto mondiale, Trump con Zelensky, von der Leyen con Trump, la premier Meloni con questo e quello. E poi c’è il secondo aspetto: l’omaggio dei potenti a un uomo che di potere ne aveva poco, almeno nel senso mondano del termine, ma aveva una riserva infinita di fede, credibilità, autorevolezza, alla fin fine più difficile da ottenere e conservare di un arsenale pieno di bombe o di una banca piena di dollari.
E non solo: Papa Francesco aveva anche il coraggio di usarla, quella riserva, che era peraltro il prodotto di un cinquantennio, l’ultimo, in cui il papato è stato il vero faro nel caos globale. Prima San Giovanni Paolo II, il Papa del crollo del Muro e del crollo di tutti i muri, con i 104 viaggi apostolici in ogni parte del mondo, e insieme del monito sulle possibili degenerazioni della società liberale, che in quel momento sembrava l’unica e sola. Poi Benedetto XVI, il Papa del rigore e della pulizia contro la corruzione degli spiriti. E infine Francesco, primo Papa del continente americano, l’uomo «venuto dalla fine del mondo» e come tale capace fin da subito di allargare gli orizzonti di tutti, credenti e non credenti.
E quando si dice orizzonti, parlando di Francesco, bisogna intendersi. Un concetto torna costante nella sua riflessione, tanto che lo troviamo in due encicliche (Lumen Fidei e Laudato si’) e in due esortazioni apostoliche (Evangelii Gaudium e Amoris Laetitia): la priorità del tempo rispetto allo spazio. Nella Evangelii Gaudium: «Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi… Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi».
È lo sviluppo della società umana, quella che stava a cuore a Papa Francesco, non il suo controllo. Ecco quindi «la Chiesa in uscita» con lo sguardo alle periferie del mondo, periferie geografiche ma soprattutto esistenziali; ecco i viaggi sui luoghi delle guerre in corso e soprattutto delle guerre incombenti, dal Myanmar al Congo, dal Sud Sudan ai Paesi del Sahel; ecco la Porta Santa del Giubileo della Misericordia del 2015 aperta a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Possiamo stupirci se fu proprio lui, nel 2014, ad avvertirci della «Terza guerra mondiale a pezzetti» che stava per dilagare e di cui tanti ora tanto parleranno, cercando troppo tardi di riparare, all’ombra del suo funerale?
Papa Francesco, lo abbiamo detto, aveva coraggio. Quello che ad altri è troppo spesso mancato. Il coraggio di farsi umile pellegrino, nei primi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina, nel 2022, per andare di persona dall’ambasciatore russo in Vaticano a chiedere un cessate il fuoco. Lui, che alla Russia aveva offerto un’apertura inedita incontrando il Patriarca ortodosso Kirill a Cuba (altra periferia maledetta dell’Occidente). Di tentare, tramite il Cardinale Matteo Zuppi, una mediazione anche quando una mediazione sembrava (e in effetti era) impossibile. Di dire a chiare lettere che anche la «bandiera bianca», ovvero il negoziato, deve essere presa in considerazione di fronte a sofferenze come quelle affrontate dagli ucraini e dall’Ucraina. Di scrivere, nell’ultimo libro intitolato «Spera», che «secondo alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche del genocidio», sdoganando un dibattito finora soffocato dalle cancellerie ma non nelle coscienze, dopo aver chiesto senza sosta la liberazione degli ostaggi israeliani prigionieri dei terroristi di Hamas.E quindi sì, nei prossimi giorni politici di tutto il mondo arriveranno a Roma per rendere omaggio a un Papa, Francesco, che è stato anche un papa profondamente politico. Ma della politica a cui tutti noi pensiamo quando vogliamo credere che un mondo migliore sia possibile. La politica in cui «privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società» è più importante di «prendere possesso di tutti gli spazi di potere» (ancora Evangelii Gaudium). Ma con «convinzioni chiare e tenaci», com’erano appunto le sue.
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