Europa-Usa: differenze nel rapporto Stato e società

Per una singolare coincidenza della storia, la fine del conflitto tra Russia e Ucraina potrebbe segnare anche la fine di un’epoca che ha visto intere generazioni di europei coltivare il mito degli Stati Uniti di cui, per lungo tempo, è stato celebrato il culto della libertà, la mistica del mercato e della “società aperta”.

Per decenni gli Stati Uniti hanno rappresentato l’archetipo di una società libera nella quale chiunque vantava il diritto ad avere una chance, di esprimere il proprio talento, di manifestare liberamente il proprio pensiero. Nell’immaginario collettivo, gli Stati Uniti rappresentavano la società cosmopolita per antonomasia nella quale coesistevano le identità più disparate: un immenso crogiuolo di etnie, una fervida commistione di culture che disegnavano il ritratto di una società unica e irripetibile.

L’Europa deve tanto agli Stati Uniti. La liberazione dal nazifascismo, innanzitutto. Poi la rinascita della propria economia, la sicurezza dei confini, per tacere del cinema, della musica e della letteratura. Occorre riconoscere che, per svariate ragioni, in campo politico e militare il rapporto dell’Europa con gli Stati Uniti è sempre stato improntato ad una chiara subalternità. Di contro, sul piano identitario, gli europei hanno saputo mantenere per decenni le proprie specificità. Si ponga mente allo Stato sociale, prerogativa tutta europea che, inaugurata in Inghilterra con il piano Beveridge subito dopo la fine della guerra, ha ispirato le socialdemocrazie, poi travolte dallo tsunami neo-liberista che accompagnò la globalizzazione.

Sarebbe utile ricordare che il modello socialdemocratico seppe sperimentare una società in grado di coniugare la libertà con l’ “equa uguaglianza delle opportunità” (John Rawls), riuscendo a garantire ai propri cittadini l’effettivo esercizio dei diritti fondamentali. Questa sensibilità nei confronti delle classi più disagiate rappresenta un tratto distintivo della cultura europea che non ha mai tollerato quelle forme di “darwinismo sociale” di impronta mercatista. Per gli americani, non è così. Infatti, se per gli americani la libertà è una condizione necessaria e sufficiente per distinguersi dalle autocrazie, per gli europei le libertà hanno bisogno del lievito della democrazia, cioè, della lotta alle disuguaglianze. Per gli europei, la “vera” libertà postula la necessità di affrancare il cittadino dal bisogno, liberandolo dal ricatto umiliante della povertà che lo trasforma in uno “schiavo senza catene”: in questo senso, le disuguaglianze finiscono per svilire e vanificare la libertà facendone un guscio vuoto che mortifica la dignità del cittadino. Nella concezione del rapporto tra Stato e società, esiste da sempre uno iato profondo tra cultura europea e cultura americana.

Per gli europei la povertà non è il castigo inflitto ai meno capaci ma costituisce il frutto rancido di una società che suole guardare i poveri con un sentimento di “pietas”. Solidarietà, ecco un altro valore che ogni cittadino europeo impara fin dall’infanzia, in famiglia e a scuola. In quest’ottica, cultura laica e cultura cattolica hanno consolidato nel tempo una grande convergenza sulla necessità di annettere allo Stato il dovere di eliminare le sacche di povertà di una società che, nei confronti dei più deboli, non può restare indifferente. Pertanto, per decenni, libertà e uguaglianza hanno rappresentato per l’Europa due valori inscindibili e irrinunciabili. Possiamo dire con certezza sia ancora così? Con l’avvento della globalizzazione, l’Europa ha conosciuto il ritorno dei nazionalismi che hanno potuto contare sul sostegno, anche finanziario, di Vladimir Putin.

Il fenomeno dell’immigrazione ha contribuito ad alimentare quei rigurgiti xenofobi che credevamo sepolti per sempre. L’ondata populista che ha travolto l’Europa ha finito per contagiare anche gli Stati Uniti che, con l’arrivo di Donald Trump, ha smesso di proporre quel modello sociale che, come dicevamo all’esordio, intere generazioni hanno vagheggiato per decenni. La crisi della democrazia liberale è sotto gli occhi di tutti e non può essere sottovalutata. La costruzione comunitaria, pur con le lacune che conosciamo, rischia di avere una grave battuta d’arresto sotto i colpi di maglio del nazionalismo che Einstein ebbe a definire “il morbillo dell’umanità”. Ottant’anni di pace ci hanno illuso che libertà e democrazia fossero il definitivo approdo dell’umanità. Purtroppo, non è così. Per questa ragione, stiamo attenti a non scherzare col fuoco.

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