E’ tempo di tagli selettivi della spesa
Secondo i dati di Bankitalia, il debito pubblico è prossimo ai 3.000 miliardi di euro e la spesa pubblica è stata nel 2023 in totale di 1150,7 miliardi, pari al 55,2% del Pil (era il 48,4% nel 2018). La domanda che ci si pone e se finalmente una massa così ingente di spesa non si possa gestire in maniera più oculata. L’aggiustamento che Bruxelles ci chiede di realizzare ogni anno è di poco superiore all’1% del totale e non riuscirci dimostrerebbe ancora una volta la nostra inaffidabilità. Si impone, quindi, la necessità di aprire una nuova stagione di “spending review”, con tagli selettivi di spesa, evitando i consueti “tagli lineari”. Proprio in questa direzione andrebbe una iniziativa concreta per dare una netta sforbiciata ai tanti Enti pubblici inutili. Una iniziativa che produrrebbe un consistente risparmio di spesa ed incontrerebbe vasto consenso popolare, perché attesa da tempo. Da oltre sessant’anni, infatti, tutti i governi si sono proposti questo obiettivo senza produrre, in concreto, alcun risultato. Emblematico al riguardo è quanto accaduto con il Ministro della “semplificazione” Calderoli del governo Berlusconi, che il 28 ottobre 2009, ospite a “Otto e Mezzo”, annunciò: «A fine mese succederà una cosa che non è mai successa in Italia. Cadrà la ghigliottina sugli enti inutili che non si sono ristrutturati, non hanno chiuso, non hanno ridotto il personale e non hanno tagliato le spese». Parole audaci e roboanti (per l’appunto, parole), che seguivano un’altra dichiarazione rilasciata qualche mese prima al quotidiano Il Giornale: «Scompariranno circa 34.000 enti inutili, che bruciano risorse solo per sopravvivere, tutti con i loro Presidenti e Consigli di amministrazione».
Con il successivo governo Monti nel 2011 furono individuati circa 500 enti inutili tra i più costosi da eliminare, visto che la spesa per il loro mantenimento fu stabilita intorno ai dieci miliardi l’anno. Tra questi alcuni residuati dell’epoca sabauda e fascista, come l’Opera nazionale combattenti (1917), i Tribunali delle acque, i Bacini imbriferi montani, i numerosi Enti parco regionali e Consorzi di bonifica, nonché diversi Enti strumentali delle Regioni, sparsi in tutta Italia. In concreto, però, non si è visto alcun risultato. Con i governi Letta, Renzi e Gentiloni, attraverso un piano di “spending review” affidato a tre commissari che si sono succeduti - Cottarelli, Perotti e Gutgeld - sono stati realizzati risparmi di spesa anche consistenti, ma nessun sostanziale passo avanti è stato fatto per l’eliminazione degli Enti inutili. Matteo Renzi, in particolare, con lo slogan “Sforbicia Italia” aveva annunciato una “guerra serrata” a detti Enti e un complessivo snellimento della Pubblica amministrazione attraverso: la riduzione delle Prefetture da 106 a 40; la trasformazione dell’Enit, con la soppressione di gran parte delle 23 agenzie provinciali; il taglio sostanziale delle sedi periferiche dell’Istat e della Ragioneria dello Stato.
Di tutto ciò non si è dato alcun seguito. Il meccanismo con il quale anche i più antiquati ed inoperosi Enti inutili sono riusciti a sopravvivere ha presentato non poche astute variabili. In alcuni casi, Enti già decretati inutili sono stati rianimati attraverso emendamenti parlamentari. In altri casi la procedura per la cancellazione è stata tramutata in riorganizzazione. Altre volte è stata cambiata la denominazione dell’Ente, modificando lo Statuto e individuando altre finalità che non sono state successivamente perseguite. Tutte queste iniziative hanno avuto alla base il sostegno di gran parte della classe politica evidentemente interessata a mantenere in vita organismi che, se pure inutili per la collettività, servono a preservare logiche di potere. Nei prossimi mesi si prospetta per il governo la necessità di attuare una legge finanziaria per la quale occorrono risorse per circa 20-30 miliardi e con l’impossibilità di fare ricorso al deficit. Una iniziativa concreta per eliminare tanti Enti inutili segnerebbe l’inizio di una significativa nuova era di riduzione selettiva della spesa pubblica e darebbe al Ministro del Tesoro Giorgetti l’occasione di porre finalmente fine ad un andazzo di cui ci si dovrebbe vergognare.
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