Sui lasciapassare di accesso alle zone off limits delle gare di motori, c’è una piccola scritta in inglese: “Motorsport is dangerous”. C’è anche sui pass che vengono consegnati per l’accesso ai paddock della dorata F.1. Nascosta, minuscola, come le controindicazioni nelle pubblicità dei medicinali. Ignorata, come la scritta “Il fumo fa male”, “Il fumo uccide”, “nuoce alla salute” scritto sui pacchetti di sigarette. Una verità. Scomoda. Cruda. Ma che a volte facciamo finta di non vedere. Il motorsport è pericoloso. Lo è a prescindere dalle precauzioni che tu puoi prendere per evitare incidenti. E te lo ricordano, rari ma devastanti incidenti come quello accaduto domenica a Carlazzo, nella Ba…relli Ronde. Con due giovani piloti dilettanti morti carbonizzati. La più grande tragedia del motorismo disputato sulle nostre strade. Non un rally vero e proprio, ma una specie di surrogato con un solo tratto cronometrato da ripetere più volte. Una corsa, forse pochi lo sanno, che ha un nome curioso: scimmiotta il nome rally, italianizzandolo, per ricordare un grande personaggio dei rally comaschi, Sergio Barelli, uomo che studiò mille percorsi e lottò per organizzare le corse quando non era così facile come adesso avere le istituzioni dalla parte degli organizzatori.
Una piccola corsa: non la Formula 1, nemmeno il mondiale Rally dove le superpotenti vetture da mondiale sfrecciano a velocità impensabili su stradine larghe solo qualche metro. Eppure il pericolo era in agguato, uguale qui e là. Anzi, forse più qui che là. Perché la sicurezza costa. Ed è naturale trovarne di più in vetture da mondiale che non nelle vetturette dei piloti della domenica. Del resto anche in pista, è più facile farsi male in gare meno ricche della F.1. L’incidente straziante di domenica ci ha colpito, per diversi aspetti. Ad esempio per l’allegria nei volti delle due vittime nelle foto prima del crash, a testimonianza della felicità che può regalare una passione come questa. O per la naturale sottovalutazione del pericolo insito nelle competizioni motoristiche. Ci riferiamo al pericolo di base, non quello dove ci sia qualche colpa o qualche mancanza. Dove il rallino sottocasa viene preso come una scampagnata, mentre dietro ogni angolo può nascondere una trappola. Ma soprattutto ci ha colpito la maturità di tutti coloro che sono intervenuti nei dibattiti di questi due giorni tristi. Dieci-venti anni fa, per incidenti innocui dal punto di vista fisico, ma devastanti per vetture e guardrail, ci era capitato di leggere crociate contro i motori, le sue gare, additate come l’anticristo. Stavolta, al cospetto dell’enormità della perdita, c’è stata compostezza, analisi lucida, intelligente. Per fortuna stavolta ci hanno risparmiato i saccenti del lunedì. E i censori del martedì. Ora dobbiamo aspettare i risultati dell’autopsia e delle indagini per capire se ci sia stata qualche colpa o qualche mancanza, qualche anello debole nella vicenda. Però dobbiamo anche dirci che può comunque capitare. Se lo dicono certamente (anche se non sappiamo sino a che punto) quelli che corrono e passano notti insonni a spendere interi stipendi per coltivare il sogno della garettina sotto casa. Se lo dicono gli organizzatori. Nel 1988 Carlo Galli, abile pilota comasco, schivò un ragazzino per un millimetro all’arrivo di una prova e la sua navigatrice terrorizzata e in lacrime voleva piantarla lì. Abbiamo visto tubi del gas tranciati sulla prova della via Pannilani al Rally di Como, o una macchina atterrare direttamente dentro un salotto di una casa. Con il sollievo finale e la frase: «È andato tutto bene». A volte però non tutto va bene. Per questo il lavoro sulla sicurezza delle gare di auto, anche e specialmente nelle gare sotto casa, non deve mai mollare di un millimetro. Perché... Motosport is dangerous.
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