Due passi in centro tra gang e senzatetto

Ormai da qualche settimana ho firmato la mia personale tregua con le cartilagini del mio ginocchio (tipo Van Basten con la caviglia) che mi avevano costretto a limitare passeggiate e andirivieni per la città. Invogliato dalla mia ritrovata verve deambulatoria, ne ho quindi approfittato per sistemare certi affari qua e là tra centro e rioni, ritrovandomi quindi a gettare lunghe occhiate (camminare ha il pregio di potersi soffermare a lungo sui dettagli) sullo stato di salute di tanti angoli noti di Lecco.

Inizio subito con il dire che negli ultimi anni Lecco ha vissuto progressivamente un peggioramento della frequentazione del centro storico, oggi invaso da gruppi di giovani provenienti dai Comuni circostanti, da Monza e dalla cintura di Milano. Li si vede, questi ragazzotti, spesso in branco, a piedi o con i maledetti monopattini. Devo dire che mi ha colpito l’atteggiamento aggressivo che spesso accompagna un deambulare sciatto e strafottente. Anche gettando lo sguardo alle cronache locali, è facile evincere il copione.

Se li guardi ti minacciano, se sei adulto si fermano alle parole, se sei ragazzo passano più facilmente alla violenza fisica. Le ragazze vengono fischiate e appellate dal gruppo, fissate insistentemente e avvicinate. Intendiamoci, niente di penalmente perseguibile. Ma la brutta sensazione che mi coglie osservando scene simili è che, se pure ci fossero gli estremi, molti sarebbero forse restii a denunciare, per non finire in situazioni ancora più complesse e pericolose. Perché il confine è sottile, e quando viene superato è troppo tardi per tutto. Le denunce, i nastri della videosorveglianza, perfino le manette.

L’altro lato della medaglia in centro, però, è senza dubbio il problema dei senzatetto, i balordi che si aggirano ubriachi, alcuni con cani (anche da combattimento) che a volte sono lasciati liberi senza guinzaglio. Sul mio taccuino da commosso viaggiatore ho segnato come aree più a rischio quelle comprese tra le Meridiane, Via Carlo Porta, la stazione, via Bovara, via Cavour, Via Roma, piazza Garibaldi, piazza XX Settembre, Piazza Cermenati, Piazza Affari, i portici del lungolago e via Leonardo Da Vinci. E scusate se è poco.

So bene che la questione è enorme, tentacolare come una piovra e che avviluppa il Paese ben oltre il piccolo orticello lecchese. Abbiamo ascoltato e visto tutti con sgomento le notizie delle violenze che giovani immigrati nordafricani e di seconda generazione hanno perpetrato in occasione del Capodanno a Milano, malgrado la massiccia presenza delle Forze dell’Ordine. Abbiamo visto film e letto libri sulla situazione drammatica che è vissuta da decenni in Francia, Belgio, Germania (ma anche da noi, al quartiere popolare di San Siro dove la polizia non entra se non in assetto anti-guerriglia).

Le cause? Ne cito qualcuna, consapevole di portare tre gocce di riflessioni personali in un mare di problemi. Uno dei motivi del peggioramento è, a mio avviso dovuto al ridursi di pubblici esercizi e negozi locali, indipendenti, familiari, di qualità, che progressivamente hanno lasciato il posto a catene di fast food, di abbigliamento, di cianfrusaglie varie. Pensate agli alimentari etnici intorno alla stazione, alle gestioni esotiche dei bar, o allo spostamento di pochi metri del noto fast food americano dal lungolago ai portici, che ha accresciuto i guai di piazza Affari.

Penso anche ai proprietari degli immobili ad uso commerciale del centro, che dovrebbero una buona volta assumersi le loro responsabilità ed avere una visione più a largo raggio: affittare a qualche soldo in più ad un esercizio che creerà problemi di frequentazioni riduce di conseguenza il valore dell’immobile: quello che guadagni dall’affitto lo perdi sul patrimonio. Pure la presenza di giostre e bancarelle sul lungolago, anche quando è per per le famiglie, è fortemente attrattiva per quelle tipologie di frequentazione. Gli stessi musicisti, a volte gradevoli, di strada creano confusione e lasciano un senso di abbandono.

Insomma, al termine del mio peregrinare in città, mi sono fatto persuaso che più si abbassa il livello dell’offerta di intrattenimento, del commercio e dei pubblici esercizi, più si peggiora la vivibilità della città, il suo appeal e si rende ancor più complesso il già difficile lavoro delle forze dell’ordine. Morale della favola? Forse tocca tornare alle parole del compianto Kennedy, e chiedersi cosa può fare ciascuno per la propria città, prima che viceversa. Certo è che di Kennedy, che si parli di Bob o di JFK, ne vedo pochi anche nella politica locale e dentro Palazzo Bovara. Personalmente, mi accontenterei di qualche borgomastro capace di ascoltare, ma anche di farsi sentire.

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