Non c’è limite al ribasso in questo Paese. È vero, il dossieraggio è vecchio come il mondo, c’era anche nell’antica Grecia di Pericle. Ma qui siamo davanti a un pantano digitale e a un collasso morale che dovrebbe farci inorridire. Il caso Equalize svela il dietro le quinte di un Paese che svende le sue radici di legalità, privacy, giustizia e senso dello Stato per pochi sporchi milioni, affogando in un pantano di malaffare e corruzione. Quel che scopriamo nell’inchiesta della Dda di Milano non è solo una rete di hacker e funzionari corrotti; è una dichiarazione di fallimento per uno Stato che dovrebbe proteggere i suoi cittadini e invece li offre in pasto al miglior offerente.
Ci raccontano che questo gruppo di “spioni” delle vite degli altri, capeggiato da un ex poliziotto di rispetto e da un hacker senza scrupoli, ha avuto accesso a banche dati dello Stato, riservate alle forze dell’ordine, grazie a un sistema di connivenze e complicità. Non parliamo di un film di spionaggio, di qualche scalmanato con la tastiera in una camera buia. No, qui c’è un’intera struttura che si muove nell’ombra, che usa il Sistema di indagine informatico (Sdi) e altre risorse riservate come se fossero un supermercato: entra, prende, esce. Vite, dati, biografie intere trasformate in merce per chi paga di più. Una sorta di Stasi privata. E noi italiani, nel frattempo, assistiamo a questo scempio come a uno spettacolo distante, mentre il sistema crolla sotto i nostri piedi.Il trojan RAT – questo strumento di hacking che apre le porte dei computer come un grimaldello digitale – è solo l’ultimo gadget tecnologico nelle mani di una cricca che si muove con metodi vecchi e collaudati: corrompere, infettare, infiltrarsi. Ci si chiede come sia stato possibile che in un Paese civile, che dovrebbe contare su un sistema di sicurezza avanzato, non vi fosse un controllo serio e attento degli accessi. Il problema è che il progresso digitale accompagnato ai vecchi metodi è molto più veloce - nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale e del post-digitale – di qualunque tentativo di difesa o controllo. Se si gioca a guardie e ladri, nel cyberspazio vincono quasi sempre i ladri. Non c’è cybersecurity che tenga di fronte ad apparati così veloci e sofisticati, gestibili da pochi “soliti” ignoti. E così i nostri archivi diventano proprietà privata di un pugno di avvoltoi.
Ma la gravità del caso Equalize va oltre il dato tecnico. Non è solo la sicurezza dei nostri dati ad essere violata, è la fiducia in quello Stato che dovrebbe tutelarci, ma che ora appare indifferente, vulnerabile. Da quanto emerge, questa rete era in grado di accedere a informazioni riservate, anche su personalità pubbliche, da Ignazio La Russa a Letizia Moratti, fino a sfiorare il nome del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. E tutto questo con lo scopo, in molti casi, di creare dossier per ricatti o pressioni politiche, anche miserevoli, come quello di spiare nel telefonino di una donna oggetto del desiderio di un imprenditore.
Eppure, davanti a un tale scandalo, le reazioni sono fiacche, timorose, come se fossimo rassegnati a un’Italia irrimediabilmente corrotta. Il ministro Piantedosi ha parlato di controlli sugli accessi, di verifiche nelle strutture del Viminale, e il ministro Crosetto ha invocato una riflessione parlamentare per arginare questo fenomeno che, dice lui, è la «punta dell’iceberg» di un malcostume radicato. Alle parole seguiranno i fatti? E soprattutto: chi ascolta davvero? Chi si indigna al punto da pretendere che le cose cambino? Chi è disposto a mettere in discussione un sistema che, ormai, sembra considerare la corruzione e la violazione della privacy come peccati veniali, inevitabili?
Chi crede che sia una faccenda per politici o vip si sbaglia. Se guardiamo al fenomeno da una prospettiva più ampia ogni giorno i nostri dati personali sono carpiti legalmente e più spesso illegalmente dagli algoritmi, gestiti e mercificati per orientarci, spiarci, manipolarci senza poter fare nulla. Il lato oscuro della Rete, di questa sorta di «algomercato», utilizza le nostre informazioni per dirigere i nostri consumi, le nostre preferenze politiche, i nostri orientamenti ideologici e culturali, i nostri gusti e disgusti della vita di tutti i giorni. È un problema molto serio purtroppo sottovalutato, che riguarda tutte le polizie del mondo, i governi, i Parlamenti, le Organizzazioni internazionali, la società civile, i corpi intermedi dello Stato, su cui si sta interrogando, offrendo anche soluzioni la Chiesa (basta citare l’intervento di Papa Francesco al G7 di Borgo Egnazia) e a cui ancora pochi sono riusciti a dare una (timida) risposta.
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