Come soffrono, le coalizioni politiche: che siano al governo o all’opposizione, le mille difficoltà politiche interne, elettorali e internazionali rendono amarissime queste giornate
Basta guardare il centrodestra: ha appena vinto le elezioni in Abruzzo e fermato il vento di sinistra che spirava (?) dalla Sardegna; è riuscito a compattarsi in Basilicata, dopo qualche tira e molla leghista, dietro il governatore uscente di Forza Italia,Bardi; in Piemonte assiste tranquillo alla lotta tra Conte e il Pd. Eppure i partiti al potere litigano senza nemmeno nasconderlo sulla politica estera.
Tutto è ripartito da Matteo Salvini che, dopo aver gioito qualche settimana fa per i successi elettorali di Donald Trump (e proprio mentre Meloni era in udienza da Biden alla Casa Bianca), adesso ha dichiarato - nel momento stesso in cui tutto l’Occidente, a parte Orban, si guarda bene dal congratularsi con Putin per la sua vittoria alle elezioni farsa - che «quando un popolo vota ha sempre ragione», e che le elezioni «fanno bene chiunque le vinca o le perda», dimenticando che in Russia non c’erano competitori contro il dittatore per la ragione che sono stati estromessi, incarcerati o direttamente assassinati. Ancora un ingresso nella politica estera da parte del leader leghista che però stavolta ha fatto saltare i nervi ad Antonio Tajani, solitamente pacato e compassato, che è sbottato: «La politica estera la fa il ministro degli Esteri, io sono il ministro degli Esteri, e dico che le elezioni in Russia sono avvenute con episodi evidenti di violenza dopo che a Navalny è stato impedito di presentarsi con un omicidio».
Parole irritatissime che riflettono gli umori del Quirinale (nessun messaggio di Mattarella verso il capo del Cremlino) e di Palazzo Chigi con Giorgia Meloni messa in imbarazzo dal suo vicepresidente in un momento molto delicato per la premier. Meloni infatti in questi giorni ha i suoi bei problemi: ha visto il terzetto Macron-Scholz-Tusk dettare la linea europea sulle prossime mosse da fare nei confronti di Russia e Ucraina e in vista di un temibile successo di Trump in America, e da quel terzetto l’Italia è stata esclusa, nemmeno consultata: ci sono i polacchi al posto nostro. Inoltre la vicinanza esibita con la von der Leyen, che ieri era una patente di credibilità per l’esponente della destra italiana arrivata a governare l’Italia, oggi rischia di danneggiarla e di isolarla a causa delle critiche che riceve la traballante presidente della Commissione.Altro fronte, il centrosinistra o «campo largo» come lo si voglia chiamare.
Anche lì non si nascondono le reciproche randellate. In Basilicata la telenovela sulla candidatura regionale è finita con un compromesso che segna un armistizio tra M5S e Pd ma che ha escluso i centristi di Calenda e Renzi che - sorpresa! - sosterranno il governatore uscente del centrodestra, il generale Bardi. Da notare che Azione in Basilicata alle ultime elezioni ha raccolto il 12.5 per cento dei voti grazie all’influenza di Marcello Pittella, ex presidente della Regione tornato in auge dopo che si è dissolta nel nulla l’inchiesta giudiziaria che lo aveva (momentaneamente) sgarrettato. Senza i voti di Pittella - che però ha annunciato di non seguire l’indicazione di Calenda - è matematico che il centrosinistra perderà le elezioni e, ancora una volta, a causa soprattutto delle sue divisioni. Che si stanno riproducendo in un’altra Regione di ben altro peso, il Piemonte. Sulle rive del Po i seguaci di Conte e i democratici hanno deciso che correranno ognuno per conto proprio, cioè si faranno una guerra all’ultimo voto, a tutto vantaggio del centrodestra e del governatore uscente Alberto Cirio, comprensibilmente fiducioso nella rielezione.
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