Sovranismo e protezionismo rappresentano due incalzanti fenomeni che, dopo un certo periodo di latenza, oggi minacciano seriamente gli assetti democratici di molti Paesi europei e dell’intero Occidente.
In Italia tali impalcature demagogiche sono sostenute in primis dal leader leghista Matteo Salvini, il quale tuttavia incontra non poche contrarietà proprio all’interno del suo partito. Ciò non stupisce se si risale alle origini costitutive e identificative della Lega, che si era presentata sulla scena politica nazionale con caratteristiche ben diverse dalle attuali. Nelle recenti elezioni europee il premier ungherese Viktor Orban riunendo tutte le destre estreme europee, compresa quella che è rappresenta da Salvini, si è reso protagonista della costituzione del gruppo dei “Patrioti”. Questa alleanza si è costituita con il dichiarato intento di combattere l’accentratrice e oppressiva azione della Commissione europea.
In realtà, il malcelato obiettivo di Orban è quello di contrastare il compimento del progetto europeo, noncurante dell’irrilevanza alla quale, in uno scenario geopolitico dominato da grandi potenze come gli Stati Uniti, la Cina, la Russia e l’India, sarebbero destinati i singoli Stati europei. Basterebbe pensare a quanto è avvenuto con la Brexit, bocciata oggi in Inghilterra dal 65% della popolazione, che in soli quattro anni ha comportato: la perdita di 1,8 milioni di posti di lavoro; lo spostamento delle attività di banche e broker; l’aumento delle tasse; una sensibile flessione del Pil e dell’export; la diminuzione del potere d’acquisto dei salari sceso di 2mila sterline l’anno. Tutto ciò, nonostante l’Inghilterra abbia sempre disposto della propria moneta e dell’esercizio della politica monetaria.
In campo internazionale il punto di riferimento di questi pseudo patrioti è Donald Trump, che nella sua passata esperienza presidenziale è stato il promotore di esasperate posizioni sovraniste e protezioniste, guardando esclusivamente agli interessi degli americani (“America first”). Lo testimonia il progressivo abbandono del “multilateralismo”, che ha comportato il rigetto di importanti trattati economici internazionali. Lo testimoniano inoltre la strenua difesa delle produzioni nazionali attraverso l’applicazione di dazi sulle merci importate, nonché la tutela dell’identità etnica statunitense con la ferrea lotta all’immigrazione.
Queste scelte, incomprensibilmente oggi invocate anche in Europa, portano a ritorsioni di vario tipo sul piano economico e commerciale, con conseguenze che possono essere assai gravi soprattutto per economie marcatamente vocate all’export come quelle europee. Le preoccupazioni evocate oggi da avveduti politici ed economisti per le possibili conseguenze negative per gli assetti democratici derivanti dal diffondersi di queste tendenze, hanno sollecitato in passato lungimiranti analisi da parte di statisti di cui oggi, non solo in Italia, avremmo un disperato bisogno.
Nel gennaio del 1945, sulla scorta della tragica esperienza della Seconda guerra mondiale, Luigi Einaudi con il saggio “Il mito dello Stato sovrano” individuava proprio nello Stato sovrano il nemico numero uno della civiltà: «Lo Stato sovrano, che entro i suoi limiti territoriali può far leggi, senza badare a quel che avviene fuori di quei limiti, è oggi anacronistico e falso». Nello stesso tempo vedeva negli «Stati Uniti d’Europa» l’unico antidoto al ripetersi di nuovi conflitti: «Esercito unico e confine doganale unico sono le caratteristiche fondamentali del sistema. Gli Stati restano sovrani per tutte le materie che non sono delegate espressamente alla federazione, ma questa sola dispone delle forze armate. Così anche le guerre diventeranno più rare, finché esse non scompaiano del tutto, nel giorno in cui sia per sempre fugato dal cuore e dalla mente degli uomini l’idolo immondo del sovranismo». Altrettanto illuminante e di grande attualità è la posizione assunta da Einaudi in contrapposizione alle tendenze protezionistiche. Nel 1948, nominato Governatore della Banca d’Italia, nelle Considerazioni finali così si esprimeva: «È nella libertà degli scambi, nella ricerca della qualità dei prodotti e nella sperimentazione di tecnologie sempre più avanzate che si gioca il futuro di ogni economia e la prosperità di ogni Paese».
© RIPRODUZIONE RISERVATA