Democrazia, la lezione allarmata di Mattarella

La lezione di Sergio Mattarella è semplice e severa. A Trieste apre la Settimana Sociale dei cattolici e squaderna i capitoli del sussidiario minimo della democrazia. Un vocabolario di cui oggi c’è bisogno, al tempo del premierato sbandierato come soluzione forte e perfetta di fronte a presunte ingovernabilità del sistema politico e di istituzioni considerate contenitori usurati dalla storia.

Il presidente della Repubblica non si è limitato ad un saluto e ha letto 16 pagine per spiegare che oggi in giro ci sono troppi «analfabeti della democrazia» e che quindi bisogna ripartire dai fondamentali, quelli che ogni studente di scienze politiche dovrebbe aver ben presenti. Ha fatto il professore e il presidente e dal podio di Trieste ha rimesso a posto quell’ «ordito essenziale» della Costituzione e della democrazia che molti ritengono «logoro», vorrebbero farne stracci e «mortificare» secondo tesi di parte.

Premette all’inizio una citazione che diventa un’argomentazione sulle drammatiche contraddizioni della democrazia. Anzi due citazioni. La prima è di Alexis de Tocqueville, filosofo della politica, ministro della Francia post-napoleonica, l’analista più spregiudicato della democrazia, delle sue potenzialità e delle sue degenerazioni, quando diceva che una democrazia senz’anima non esplode. ma «implode», perché ha sfilacciato i suoi valori. La seconda è di Norberto Bobbio, il filosofo della politica più disincantato della scienza politica italiana, che spiegava come le «condizioni minime» della democrazia sono «esigenti».

Ma qual è la condizione minima di una democrazia? Mattarella sa bene che la lezione può far male e dare fastidio a chi è preoccupato solo del funzionamento, dell’efficienza, delle regole del gioco, indispensabili, è vero, ma brutali se senz’anima. Ne restano gli aspetti formali, ma si tratta di un vocabolario a metà, che non va al cuore della democrazia, come vogliono fare i cattolici riuniti a Trieste. Dunque occorre illuminare le «condizioni minime», quelle «esigenti».Il presidente, paziente e sapendo bene che anch’egli per qualcuno è parte del problema, si rimbocca le maniche e parte dall’inizio. Alla base di tutto ci sono i limiti alle decisioni della maggioranza, che non può fare ciò che vuole perché ha il consenso del popolo. È la prima indicazione di Norberto Bobbio e riguarda la contraddizione, che risulta insanabile, perché una democrazia solo della maggioranza viola i diritti delle minoranza e soprattutto il diritto più importante e cioè quello che impedirebbe alla minoranza di tornare ad essere maggioranza. Alcuni la chiamano dittatura della maggioranza, altri la definiscono tecnicamente democratura ed esempi ne abbiamo anche in Europa.

Perché Mattarella ha citato Norberto Bobbio proprio su questo argomento? È l’epoca che stiamo vivendo a suggerire pericoli? Il presidente non risponde, ma la lunga lezione di Trieste indica alcune piste di riflessione e fattori di allarme da non sottovalutare. Lo dice ai cattolici che in questi mesi non hanno sottovaluto alcune spie rosse che si sono accese sulla sussidiarietà, la solidarietà tra territori della Repubblica, l’uguaglianza dei cittadini, i diritti, l’assenteismo elettorale diventato diserzione dal voto e sono stati accusati di remare contro.

Mattarella ha chiesto di non accontentarsi mai, di non compiacersi di una democrazia imperfetta perché a qualcuno piace una versione di democrazia «a bassa intensità», ristretta in nome della governabilità o meglio del dovere del governo di governare, anche se il gioco si svolge pericolosamente vicino ad un limite orientato verso il baratro.L’alfabeto della democrazia, la sua sintassi e la sua semantica, cioè l’organizzazione delle regole e l’applicazione dei valori che le definiscono, va conquistato e declinato ogni giorno come spazio pubblico dove tutti hanno il dovere oltre che il diritto di esprimersi. La democrazia non è semplicemente «un metodo», ha richiamato Mattarella. Perché se così fosse basterebbe consegnare tutto ai tecnocratici, quelli che hanno sempre in tasca soluzioni adeguate a tutti i problemi, ma autorità senza limiti e spesso senza volto, assolutismi di Stato, dove il «bene pubblico» è concentrato nel perimetro degli interessi della maggioranza, senza alcuna preoccupazione per tutti gli altri.

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