De gasperi statista al servizio dei cittadini

A settant’anni dalla sua morte Alcide De Gasperi merita di essere ricordato come un grande statista che interpretò la politica come un dovere verso gli altri. Fu lui a dichiarare che «un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni».

Aveva una grande visione politica e sociale, fu un moderato ma anche un vero riformatore, padre della Repubblica italiana, di cui fu il primo capo di Governo e uno dei padri dell’Unione europea. Un politico dotato di grande conoscenza delle lingue e di cultura internazionale. Di ispirazione cattolico-liberale, fu il principale protagonista del primo decennio della Repubblica italiana.

Ostile al fascismo, dopo la marcia su Roma sostituì Luigi Sturzo alla direzione del Partito popolare. Fu arrestato dalla polizia fascista, condannato a quattro anni di carcere per antifascismo e liberato dopo 14 mesi per malattia. In seguito lavorò nella Biblioteca Vaticana e riorganizzò durante la Resistenza il partito popolare con il nome di Democrazia cristiana.

Quando entrarono i tedeschi a Roma si dovette nascondere in Laterano e con lui c’era Pietro Nenni. I nazisti non li trovarono perché si nascosero nei sotterranei, ma dovettero cambiare nascondiglio. De Gasperi andò nel Palazzo di Propaganda Fide e la figlia Maria Romana, che lo andava a trovare, nel cestino della bicicletta sotto la verdura nascondeva gli articoli scritti da suo padre per i giornali clandestini e i messaggi per i resistenti.

De Gasperi fu presidente del Consiglio in otto successivi governi di coalizione dal 1945 al 1953, governando dapprima con socialisti e comunisti e dal 1947 soltanto con i partiti di centro. La sua linea politica fu sempre fondata sulla collaborazione tra democristiani e laici. I suoi governi guidarono la ricostruzione postbellica e in politica estera ancorarono l’Italia al mondo occidentale e all’Europa. In politica interna il suo contributo più importante fu quello di tutelare l’autonomia statale dalle ingerenze confessionali. Vinte le elezioni del 1948, promosse l’adesione dell’Italia al Patto atlantico e al processo d’integrazione europea e avviò la ricostruzione del Paese.

Ebbe un’intuizione fondamentale: quella di ritenere che l’Italia non si sarebbe mai sollevata con un Mezzogiorno così arretrato, per cui i suoi governi attuarono un grande intervento statale attraverso enti pubblici come Iri e Cassa per il Mezzogiorno e riforme incisive come quella agraria e per la casa, che ottennero poi notevoli risultati tanto da essere definiti un “miracolo economico”. Un modello e un esempio ancora attuali perché venivano coinvolti capitali pubblici e privati.

Riteneva che in famiglia non poteva esserci più di uno stipendio pubblico per cui dava alla figlia, che gli faceva da segretaria, una parte dello stipendio che percepiva come capo del Governo. Aveva per il denaro un disinteresse assoluto, tanto che lo stipendio lo portava alla moglie, che gli lasciava qualcosa per i giornali e i sigari.

De Gasperi fu anche un grande italiano che amava profondamente la sua patria, che era l’Italia, a maggior ragione perché era nato suddito dell’imperatore asburgico. Con Cesare Battisti era stato nelle carceri austriache per aver chiesto un’università in lingua italiana. Difese l’italianità culturale e gli interessi economici del Trentino, di cui chiese l’annessione all’Italia.

Il suo testamento morale è considerato il discorso alla Conferenza di pace di Parigi, di cui si ricorda in particolare l’incipit: «Prendendo la parola in questo consesso mondiale, sento che tutto tranne la vostra personale cortesia è contro di me…». Rappresentava un Paese che aveva fatto la guerra accanto a Hitler e l’aveva persa. Ma è più significativo la parte finale di quel discorso, là dove dice: «Vi chiedo di dare respiro e credito alla Repubblica d’Italia; un popolo lavoratore di 47 milioni è pronto ad associare la sua opera alla vostra per creare un mondo più giusto e più umano».

Piaceva a Montanelli, che nell’opera “L’Italia della Repubblica” ha scritto: «Non riscaldò mai le piazze», sottolineando però che proprio la sua «antiretorica» lo rendeva credibile come uomo «serio, onesto e coraggioso, che meritava la fiducia e la rendeva contagiosa».

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