Che la ripresa politica di settembre si annunci turbolenta, è cosa ormai scontata, vista l’estate che abbiamo trascorso.
Il primo atto sarà il vertice a tre del centrodestra di governo, quello stesso vertice che due settimane fa fu rinviato perché l’accordo sulle nomine Rai era in alto mare. Non è chiaro, peraltro, se il compromesso nel frattempo sia stato finalmente messo nero su bianco. Viceversa l’altro scoglio da superare, la designazione del candidato ad una poltrona della Commissione europea, sembra sia stato finalmente superato: dopo Tajani, anche Salvini ha finalmente detto il suo «sì» al ministro Fitto su cui all’inizio anche Giorgia Meloni aveva perplessità: non tanto sul nome – tra i due il legame è forte – quanto sul fatto che spostare un ministro potrebbe voler dire fare un mini-rimpasto, cosa sempre pericolosissima. In ogni caso, la speranza è che con Fitto l’Italia riesca ad ottenere un incarico importante: il contrario proverebbe l’isolamento dell’Italia dopo i no alla ricandidatura di Ursula von der Leyen.
Ma ci sono tante altre questioni che ancora bollono: le divergenze sulla riforma carceraria di Nordio non sono ancora superate e c’è ancora parecchio da discutere mentre sullo «ius scholae» invocato dai berlusconiani, Salvini non vuole nemmeno sentir pronunciare quelle due parolette, e la Meloni è costretta a barcamenarsi (in tempi non lontani anche lei era favorevole, così almeno giurano quelli di Forza Italia). Al netto delle baruffe con la Ue sui balneari e i tassisti, sullo sfondo si staglia minacciosa la figura della complicata legge di Bilancio cui sta lavorando il ministro dell’Economia Giorgetti alla ricerca di almeno una decina di miliardi da gettare nel forno della spesa pubblica.
Il guaio è che tutto questo intreccio di tensioni politiche si verifica sotto una cappa pesante di tensioni, paure, sospetti. Come si sa, la destra teme il complotto politico-mediatico-giudiziario («come per Berlusconi» dice Giorgia) che avrebbe quale potenziale vittima la sorella della premier, Arianna. L’allarme è stato lanciato dal «Giornale» di Alessandro Sallusti: «Vogliono impallinare Arianna per far cadere il governo». Nessuno ha fornito prove, o indizi o labili tracce, di queste operazioni che sarebbero ordite dalla sinistra, dai giudici ad essa collegati, dai giornalisti «rossi», però a palazzo Chigi lanciano allarmi, e sarebbe l’ennesima volta, dal momento che di complotto si è parlato moltissime volte dalla nascita di questo governo: «Ma non riusciranno a cacciarci» ha più volte detto in aula la presidente del Consiglio. È chiaro che l’opposizione ribalta la tesi della maggioranza: «Inventate congiure ai vostri danni per coprire le troppe divergenze che rendono impotente il governo e lo allontanano dall’Europa». Insomma, si tratterebbe – secondo Schlein e Conte – di un’abile operazione mediatica per distrarre l’opinione pubblica, creare un gran polverone, e nascondere così le difficoltà che l’esecutivo trova sul suo cammino in misura proporzionale sia all’obiettiva complessità della situazione interna, internazionale, economica, ecc., sia - appunto – alle divisioni tra alleati.
Il fatto che i due partiti minori della coalizione non perdano occasione per salire sui loro cavalli di battaglia anche in polemica con Fratelli d’Italia, è il sintomo del persistere di una dinamica dentro il centrodestra che può alla lunga dimostrarsi molto pericolosa, anzi letale, per Giorgia Meloni. E se davvero a Palazzo Chigi hanno in mano qualche carta che dimostra l’esistenza di un’operazione ai loro danni, in diversi ormai stanno chiedendo di reagire con maggiore unità. Che però ha due condizioni: primo, Lega e Forza Italia dovrebbero calmare le loro pulsioni «identitarie» (cioè elettorali); secondo, Fratelli d’Italia dovrebbe rinunciare all’idea che il partito di maggioranza è quello che comanda, e che - come diceva De Gaulle - «il resto poi seguirà».
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