Il governo italiano ha impiegato esattamente venti giorni per ottenere la liberazione di Cecilia Sala, presa in ostaggio dalla dittatura degli ayatollah come ritorsione per l’arresto a Milano, su richiesta Usa, di un ingegnere iraniano sospettato di terrorismo di cui ci hanno chiesto l’estradizione. Venti giorni in cui Giorgia Meloni, Antonio Tajani, ambasciatori e capi dei servizi si sono trovati in mezzo ad un ricatto: estradare il presunto terrorista in America significava condannare Sala al carcere per chissà quanto tempo (ci sono due francesi che sono nelle celle di Ervin dal 2022); non estradarlo significava irritare profondamente gli americani proprio nel momento del passaggio di consegne tra Biden e Trump.
Un rompicapo sempre più stringente con le opposizioni che giorno dopo giorno abbandonavano i toni bipartisan per cominciare a criticare il governo (qualcuno insisteva anche che il governo riferisse in Parlamento, non capendo che solo mantenendo la bocca chiusa si poteva sperare di riportare a casa la giornalista de “Il Foglio”).
Il culmine delle critiche è arrivato quando Meloni a sorpresa ha fatto un velocissimo viaggio negli Stati Uniti per incontrare Donald Trump nella sua villa in Florida, a Mar-a-Lago. Quella visita è stata criticata sia in casa nostra che in Europa, si sono fatte mille dietrologie per dire che Meloni si stava candidando ad essere il grimaldello con cui Trump romperà la solidarietà europea. E ancor di più le polemiche sono esplose quando è uscita la notizia, poi smentita, secondo cui l’Italia starebbe per affidare alla società satellitare di Elon Musk i collegamenti crittografati per un importo di un miliardo e mezzo di euro. Con la consueta delicatezza, Musk confermava proprio mentre Palazzo Chigi, in evidente imbarazzo, smentiva. A quel punto le opposizioni hanno rotto gli argini e sono andate all’attacco senza badare più alle forme: troppo evidente era ai loro occhi la “sudditanza” del governo italiano di destra alla nuova amministrazione di destra degli Stati Uniti. Tantopiù che nello stesso frangente arrivavano le clamorose dimissioni di Elisabetta Belloni, l’ambasciatrice a capo dei servizi di sicurezza che a tutti sono apparse come la dimostrazione di un dissenso nei confronti della linea di Palazzo Chigi nei confronti degli americani.
Poi però è accaduto, mercoledì mattina, che Cecilia Sala è stata liberata a pochissima distanza di tempo da quella visita in Florida. Un’accelerazione che ha lasciato tutti sorpresi, a cominciare dai genitori di Cecilia cui Meloni non aveva dato, nei colloqui telefonici, alcuna assicurazione sulla rapida conclusione della vicenda. E poil il “Wall Street Journal” ha scritto quello che tutti hanno capito: «Giorgia Meloni nella cena di Mar-a-Lago ha ottenuto da Trump la non estradizione dell’ingegnere iraniano», chiave di volta per la scarcerazione della giornalista. È chiaro perché il ministro della Giustizia Carlo Nordio abbia escluso categoricamente qualunque legame fra le due vicende: esiste un galateo negli scambi di prigionieri, e negare l’evidenza fa parte della recita. Ma poi, ieri, è arrivato il momento della verità: il 15 gennaio la Corte d’Appello di Milano si era pronunciata negativamente sulla richiesta di concedere all’ingegner Abedini gli arresti domiciliari, mentre il codice consente al Guardasigilli di liberare chi sia in stato di arresto con richiesta di estradizione. Cosa che è successa proprio ieri quando Abedini, il presunto terrorista, è stato liberato e spedito in Iraq.
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