Cattiveria se il prossimo è solo strumento

Mentre molte parti del mondo sono flagellate da guerre e sopraffazioni di ogni tipo, le nostre cronache interne rincarano in modo sconcertante il clima di disagio e paura creatosi, riversandoci mediaticamente ogni giorno il proliferare di omicidi, atti di violenza, gesti di una ferocia animalesca spesso apparentemente privi di una qualche logica d’induzione, per quanto sempre deplorevole. Dall’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, all’efferata controffensiva condotta da Israele per vendicare la strage inaudita perpetrata da Hamas.

A fronte di questo scenario internazionale di mattanze, assistiamo da tempo all’intensificarsi in casa nostra di omicidi e atti di violenza brutali nei confronti di adolescenti, donne, anziani, intere famiglie. Dall’inizio dell’anno si contano circa un centinaio di persone uccise tra le quali quarantanove donne, di cui ben ventiquattro giustiziate dal partner o dall’ex. Il recente episodio del borseggiatore più volte investito e ucciso in Versilia da una donna dell’alta borghesia, per l’ampio consenso social suscitato - ai limiti dell’ammirazione verso l’omicida - è emblematico di come si stia diffondendo nella popolazione una sorta di esasperata cattiveria collettiva che porta a giustificare atti e reazioni un tempo giudicati, a rigor di logica e di cuore, disumani.

Circa duemilacinquecento anni fa venne chiesto ai sette sapienti della Grecia di scolpire sul tempio dell’Oracolo di Delfi, come buon auspicio e a imperitura memoria, la frase che ritenevano più importante della loro filosofia di vita. Il più atteso dei saggi, Briante di Priene, dopo una lunga riflessione scrisse: «La maggioranza degli uomini è cattiva». Molti furono delusi da una così inattesa e concisa affermazione. Eppure, le continue guerre, stermini e genocidi che hanno caratterizzato i secoli successivi, fino ad oggi, hanno dimostrato la profonda verità di quella frase. Tra i tanti, uno degli esempi più significativi è riconducibile a quanto avveniva nelle arene romane dove gli schiavi combattevano strenuamente per la loro sopravvivenza. In quei cruenti duelli non è mai successo che lo schiavo soccombente fosse salvato dalla massa, ma solo e raramente dalla pietà del tiranno.

Molti sociologi evidenziano che la perfidia non sia data alla nascita, che è impensabile qualsiasi forma di cattiveria in un bambino di pochi mesi o anni e che, quindi, il comportamento è fortemente condizionato dalla storia personale, da fattori sociali e culturali. Innatismo e condizionamenti ambientali, questo ci dice la scienza evoluzionistica. Si può diventare cattivi quando manca il minimo indispensabile per vivere dignitosamente, o anche per mancanza fin dall’età dell’infanzia dell’affetto e dell’amore dei genitori e dei parenti. Si può diventare cattivi per l’assenza di un clima favorevole nell’ambiente di lavoro, oppure quando si è circondati da una subcultura mafiosa dove la giustizia te la fai da solo con il coltello o con la pistola e dove l’aggressione e i soprusi verso l’altro sono regola di vita.

Non di meno, gran parte degli atti criminali possono essere la conseguenza di quelli che gli psicologi definiscono “disturbi della personalità”.

Lo psicologo Paul Babiak sul bollettino dell’Fbi ha sostenuto che il profilo di personalità più malevolo è rappresentato dalla “psicopatia”, perché porta a vedere il prossimo come un puro strumento di cui servirsi per i propri bisogni senza interesse per ciò che prova. Secondo Babiak «truffe, aggressioni, violenze sessuali, assassinii, omicidi plurimi sono spesso associati a questo profilo di personalità». Se gli psicopatici commettono un omicidio, aggiunge Babiak, «sarà probabilmente pianificato e la motivazione spesso coinvolge la gratificazione sadica». E ancora: «Questi individui sono disinvolti e affascinanti: mettono la maschera giusta per guadagnarsi la fiducia della vittima di turno». Riflettendo sulle ragioni che sono state alla base di molti omicidi degli ultimi tempi, oltre a fattori sociali e culturali ritroviamo proprio quel germe della cattiveria, presente nelle psicopatie da lui analizzate.

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