Burocrazia e ritardi per le sedi istituzionali

Sono trascorsi ormai 30 anni dalle elezioni, con voto diretto dei cittadini, del primo Presidente della Provincia di Lecco e relativo Consiglio. Un’autonomia istituzionale fortemente voluta dal nostro territorio e sostenuta senza riserve e senza eccezioni dai partiti dell’allora “prima Repubblica”, con qualche sparuta e fantasiosa opposizione (il solo comune di Viganò, legatissimo a Como e si espresse in modo contrario). Un obiettivo anticipato da tempo, in alcuni casi da decenni, dalla costituzione di associazioni imprenditoriali, sindacali e di varia umanità e giù a scendere fino ai partiti, confermando quella spinta propulsiva dal basso non legata ad un bieco campanilismo o alla pur accesa competitività con Como, ma dalla volontà di rendere i processi decisionali più vicini ai cittadini, garantendo servizi più efficaci.

Gli stessi primi semi, che generarono poi la presenza stabile del Politecnico a Lecco e dei laboratori del CNR in Acquate, risalgono a prima della formale autonomia, come dire due perle volute dal sistema industriale che guardava al futuro, partendo dal proprio consolidamento con la formazione e la ricerca. Siamo negli anni Ottante. E ancora il Comprensorio Lecchese, istituzione con l’omologa di Lodi voluti dalla Regione per sperimentare una prima forma di raccordo organico e programmmatico con i comuni.

Ho ripreso questi appunti di viaggio sollecitato dalle vicende paradossali di questi mesi, ben documentate dal nostro giornale, quando abbiamo rischiato di perdere i “resti” di alcune competenze della motorizzazione civile per la difficoltà di trovare in città qualche metro quadro adatto allo scopo. E ancora di una Polizia stradale chiamata a vigilare arterie di fatto autostradali, a partire dalla nostra statale 36, e che si ritrova una sede logistica ed operativa in una palazzina di uso civile in Corso Martiri.

Forse il caldo di questo agosto e sicuramente la mia insonnia mi hanno indotto ad allargare lo sguardo su ben altre sedi istituzionali e servizi in cerca di dignitosi e adeguati spazi: una breve ricognizione quindi da condividere con i lettori, anche per porre domande non rituali ai nostri politici, da Lecco a Roma via Milano.

Partiamo dalla nuova sede della Prefettura in quel palazzo di Castello, in Via XI febbraio, da noi lecchesi conosciuto come sede della mutua, dove per decenni gli ambulatori sanitari hanno costituito un punto di riferimento essenziale. Ebbene non credo di sbagliarmi affeando che tra due lustri scadrà il comodato dell’immobile da parte dell’Ospedale di Lecco al Ministero dell’Interno per ricavarne una nuova e più adeguata sede della massima rappresentanza dello Stato sul territorio.

Non dimentichiamoci che solo qualche anno fa la nostra Prefettura fu a rischio di accorpamento con altre Province e non vorrei che l’incompiuta strutturale sia preludio a qualche ritorno all’antico nel segno della rinnovata spending review a firma Giorgetti. E’ urgente capire quando riprenderanno ma soprattutto si completeranno i lavori; un cantiere fermo da quasi un decennio e che diventa per gli studenti liceali dirimpettai un esempio di diseducazione civica e il preludio ad una garantita indifferenza alla politica.

La seconda sede istituzionale in cerca di soluzione (in questo caso sfioriamo i 20 anni di attesa) è il Palazzo di Giustizia. Qui siamo in presenza di un cantiere, l’ultimo lotto, che riguarda l’ammodernamento radicale di Palazzo Cereghini, dopo la realizzazione della nuova torre fronte lago. A margine varrebbe la pena chiedersi perché il Provveditorato delle Opere Pubbliche, dopo aver affidato i lavori abbia sospeso l’iter esecutivo. Un cantiere con responsabilità a scavalco tra Comune, Ministero della Giustizia e Ministero dei lavori pubblici, insomma tutti pezzi da novanta, che misteriosamente da mesi tacciono perpetuando per chissà quanto tempo una cittadella giudiziaria spaccata in due: la sede di Corso Promessi Sposi diventata, more solito, da provvisoria a permanente ( con relativo, oneroso affitto pagato dai contribuenti).

Ma la regina delle opere annunciate e mai sfiorate da un piccone è la nuova caserma dei Vigili del Fuoco, concepita 30 anni fa con l’urgenza di dare dignità agli operatori e sicurezza al territorio. Dopo infinite polemiche otto anni fa si arriva all’area demaniale ex sede degli spettacoli viaggianti al Bione, ma ad oggi, nonostante roboanti e ricorrenti dichiarazioni di sottosegretari, deputati, consiglieri regionali non un pilastro è stato piantato.

Mi viene da sorridere se penso a quando l’allora sindaco Virginio Brivio propose di ampliare la sede attuale dei Vigili inglobando quella di Linee Lecco: il Ministero rispose che i due anni chiesti dal Comune per liberare la sede della società dei bus erano troppi.

Come cancellare le prime prime folgoranti dichiarazioni del sindaco Gattinoni, ( alle benemerenze di San Nicolò 2020) solennemente proclamò che “la velocità nel fare le opere è la vera democrazia”. Non sto a dissertare su questo impeto futurista ma consiglierei al sindaco più prosaicamente di promuovere con il prefetto e il presidente della provincia una seduta permanente di monitoraggio su queste ed altre opere essenziali per la città ed il territorio e da li incalzare Governo, parlamentari, uffici competenti con vigore e determinazione. Insomma una sorta di lobby istituzionale. Tra l’altro il vantaggio di essere un medio borgo lombardo favorisce gli incontri tra i soggetti pubblici e se proprio la viabilità è un ostacolo anche per loro, una lettera potrebbe essere equivocata ( come accaduto recentemente), una telefonata forse accorcerebbe i tempi e allungherebbe la vita.

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