Mentre nelle cucine di giornali, tv, siti si spadella il fritto misto dei risultati elettorali, tra masticanza e democrazia, con il sale sulle ferite che si alterna al rosolio per chi volerà a Strasburgo o è sul punto di specchiarsi con la fascia tricolore, ci stacchiamo per una volta dalla tavola imbandita di exit pool, percentuali, commenti a caldo, semifreddi, glaciali, per occuparci di un altro verdetto, di una lamina sottile che divide il brindisi dal de profundis.
Va da sé che ci riferiamo alle sorti del Calcio Lecco, ancora in lutto per la retrocessione.
La notizia rassicurante è che la squadra bluceleste è stata iscritta al campionato di Lega Pro.
Nella ricostruzione delle ultime sequenze seguiamo le tracce impresse da Corrado Valsecchi che fu il primo sostenitore della benemerenza a Paolo Di Nunno, ma che ora è costretto a remare in altra direzione per arginare i flussi e riflussi del patron che hanno impedito sinora una soluzione societaria in grado di guardare al futuro e di non fermarsi a celebrare il passato recente.
Spendo due parole per svestire Corrado dal ruolo di consigliere comunale e tirarlo in ballo nei panni di “facilitatore” di avventure e imprese intricate a sfondo sociale, economico, mediatico. Insomma come volontario del civismo di Lecco e dintorni e attore della trama bluceleste in queste frenetiche scene da romanzo popolare.
Chiedo un favore ai lettori: coniugate i verbi a seguire al condizionale, utile come paracadute per sganciarsi da qualche bizzarria last minute.
L’imprenditore bergamasco Aniello Aliberti non si è limitato a manifestare un generico interesse per salvare la società e il suo marchio, ma ha compiuto passi concreti offrendo a Di Nunno una via d’uscita generosa e onorevole.
Pare che si sia alla stretta finale e pur non conoscendo il presunto salvatore della patria ho ragione di credere che davanti a qualche magheggio o proroghe pretestuose non ci penserebbe un attimo a piantare baracca e burattini.
I tifosi sono in ansia e considerando ancora il giornalista, magari noto, una fonte attendibile lo martellano di domande sulle trattative in corso, disposti a ritornare sugli spalti davanti a un progetto ambizioso e non velleitario.
Un flash nella piccola storia bluceleste ci permette di ricordare come il mondo dell’imprenditoria lecchese sia sempre stato restio a scendere in campo e non a caso negli ultimi lustri si sono affacciati alla finestra di una facile popolarità personaggi di terza fila, comparse, maneggioni, megalomani, clown, come quel tal Pietro Belardelli, costretto a “evadere” dagli studi di Teleunica, inseguito dai carabinieri armati di manette.
Si badi bene che non si vuole intentare un processo agli imprenditori di casa nostra (uno dei suoi quattrini fa ciò che vuole), ma semplicemente trovo doveroso e necessario essere grati a chi, da forestiero, investe su un terreno di gioco quasi mai fertile e magari sostenerlo nelle molteplici forme che vadano oltre il galateo.
In soldoni, il termine calza a pennello, ballano circa due milioni e mezzo di euro per stipendi, lavori di miglioria al Rigamonti - Ceppi, appesantiti di centinaia di migliaia di euro che iscriviamo alla voce “ varie ed eventuali”.
Per tacere delle risorse, non propriamente bruscolini, indispensabili per l’onerosa gestione della stagione prossima ventura.
Anche un bambino di quelli che nella stagione della serie B hanno seguito la squadra con nonni e genitori è in grado di capire che dopo la partita monetaria e amministrativa si fanno sempre più stretti i tempi per costruire la squadra, organizzare il management, procedere alla miriade di adempimenti facendoci capire se ci toccherà il purgatorio, l’inferno o perché no il paradiso.
In queste ore come non tifare per mister Aliberti che ci permetterà un solo suggerimento: grazie alla sua provenienza imprenditoriale nella terra benedetta dell’Atalanta, regina dei vivai rigogliosi di talenti, sappia imitarne la cultura sportiva , tanto più che lui stesso risulta tra gli sponsor orobici.
Negli ultimi anni i ragazzi lecchesi promettenti cresciuti sotto il Resegone hanno dovuto migrare altrove per trovare spazio e gloria, salvo poi attraversare i ponti al contrario con un’altra maglia.
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