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In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Corte Costituzionale, con comunicato del 14 novembre 2024, fa sapere che la Corte ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle Regioni ordinarie (n. 86 del 2024).
E non poteva essere diversamente in quanto essa applica l’art. 117 della Costituzione come risulta dalla riforma del titolo V introdotta con legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha profondamente modificato i rapporti tra Stato e Regioni, al fine di redistribuire la competenza legislativa tra centro e periferia.
Secondo la Corte, però, l’art. 116, 3° comma, della Costituzione, che disciplina l’attribuzione alle Regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia, deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana, che riconosce i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le Regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio.
I giudici della Corte ritengono, inoltre, che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra le Regioni debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione, in base al principio costituzionale della sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e Regioni.
La Corte ha ravvisato, pertanto l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge. È incostituzionale la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione trasferisca materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative
È incostituzionale il conferimento di una semplice delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Lep) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando così il ruolo costituzionale del Parlamento.
È incostituzionale, anche, la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, per evitare che vengano premiate proprio le Regioni inefficienti.
È incostituzionale la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le Regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica. È incostituzionale l’estensione della legge n.86 del 2024 alle Regioni a statuto speciale, che, invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.
La Corte ha inoltre interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge, tra le quali l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione, che non va intesa come riservata unicamente al Governo, e che non è di mera approvazione dell’intesa ma implica il potere di emendamento delle Camere. Nelle materie “no-Lep” i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Perciò, spetta ora al Parlamento colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle Regioni ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali sopra richiamati, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge in questione.
Per quanto riguarda, invece, il referendum promosso contro la riforma si può osservare che in teoria esso sarebbe possibile in quanto la Corte ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia regionale. Però va anche rilevato che la Corte ha ritenuto illegittime diverse disposizioni fondamentali della stessa legge, tali da renderla allo stato inattuabile.
Da questo punto di vista il quesito referendario potrebbe essere dichiarato superato dalla Corte di Cassazione, che effettuerà il controllo formale, sia dalla Corte Costituzionale che ne verificherà l’ammissibilità.
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