Alitalia finisce l’epopea degli sprechi

Con il benestare della Commissione Europea, Ita Airways si prepara a una nuova avventura sotto la guida di Lufthansa. È come vedere un malato cronico che, dopo anni di cure palliative, viene finalmente affidato a un luminare teutonico della medicina.

L’accordo, che vede i tedeschi acquisire il 41 per cento di Ita Airways, con l’orizzonte di salire al 100 per cento, chiude il capitolo di un lungo calvario economico. Lufthansa ha deciso di far cadere sul piatto subito 325 milioni di euro, mettendo le mani sulla gestione operativa del vettore nato sulle ceneri di Alitalia.

E non facciamoci illusioni: non si tratta di un matrimonio d’amore, ma di una presa di controllo ben orchestrata. Gli eurocrati di Bruxelles, in nome del libero mercato, hanno preteso qualche sacrificio: slot e rotte, specialmente a Milano -Linate, dove Lufthansa dovrà cedere spazio per far entrare qualche rivale. L’obiettivo è lasciare spazio alla concorrenza ed evitare che i biglietti aerei ritornino cari come il caviale, come negli anni ’60, e garantire che i cieli italiani restino affollati, ma accessibili.Questa operazione segna un cambio di marcia per il trasporto aereo italiano. Dopo decenni di voli pindarici e atterraggi di emergenza, Alitalia e Ita Airways hanno prosciugato le tasche dei contribuenti con una voragine di debiti. Ora, con i tedeschi ai comandi, possiamo sperare in una gestione più rigorosa e, perché no, finalmente in utile, anche se poco italiana.

E il mondo politico? Un coro di approvazioni. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, felice di liberarsi di questa patata bollente, ha cantato vittoria, dicendo che l’accordo mette fine agli aiuti di Stato e rappresenta un trionfo per l’Italia e l’Europa. Anche i sindacati, sorprendentemente, hanno applaudito l’intesa, auspicando che lo Stato mantenga una quota di minoranza per garantire che il nostro Bel Paese non perda il controllo sui suoi cieli.

Un’amministrazione rigorosa con una visione a lungo termine, alla fine, è meglio dell’assistenzialismo per salvaguardare l’occupazione. E infatti salvataggio su salvataggio Alitalia è stata un buco nero per le finanze italiane. Solamente dal 1990 al 2020 ha accumulato perdite per circa 15 miliardi di euro. Una cifra che ha fatto piangere non solo i ministri delle Finanze ma anche ogni singolo contribuente.

I governi, commissario dopo commissario, hanno tentato di tutto per salvare il vettore nazionale: ricapitalizzazioni, prestiti, iniezioni di liquidità. Ma niente da fare, la compagnia continuava a perdere quota. Tra i più significativi, il prestito ponte del 2017, un’ultima disperata mossa per tenere in volo un aereo ormai fuori controllo. Quella di Alitalia è una vicenda paradigmatica dell’Italia degli sperperi: ogni euro speso per salvarla è stato un euro tolto ad altri scopi pubblici: infrastrutture, sanità, istruzione. I cittadini hanno visto i loro soldi evaporare senza alcun beneficio tangibile, alimentando un sentimento di sfiducia e frustrazione.

Anche i tentativi di rilanciarla si sono rivelati fallimenti clamorosi. L’accordo con Air France-Klm del 2007, che doveva essere la panacea, si è risolto in un nulla di fatto. La partnership con Etihad Airways, iniziata sotto il governo Renzi nel 2014, è naufragata come il Titanic, con gli emiri che si sono sfilati nel 2017. E nel frattempo abbiamo continuato a mettere acqua in un secchio bucato, in nome dell’italianità dell’aviazione civile. Un pennacchio che ci è costato mezza finanziaria.

E pensare che per decenni, quando eravamo in condizioni di forza migliori per contrattare, abbiamo sempre sdegnato l’alleanza, con una delle compagnie di bandiera più efficienti del mondo. Sempre in nome dell’italianità, si capisce.

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