“Tutto a un tratto il governo”. Forse. Con “coro” al posto dell’ultima parola era lo slogan di un Carosello recitato da Carlo Dapporto, vaga somiglianza con Berlusconi, che pubblicizzava un dentifricio: la “Pasta del Capitano”. Se l’esecutivo in pancia a Di Maio e Zingaretti nascerà, potrebbe essere quello del “Basta col Capitano” inteso come Salvini che si troverebbe ufficialmente insignito del titolo di “Piffero di montagna”, quello che andava per suonare e si ritrova suonato. Per ora. Perché il “mai dire mai” è la colonna sonora di questa crisi appassionante come “Beautiful” la telenovela preferita da Cossiga, tanto per dire che tutto si tiene. Il vero protagonista della saga, a pensarci bene, potrebbe essere Giuseppe Conte, uno che, comunque vada a finire, nel giro di un mese è passato dal ruolo del pupazzo animato dai due ventriloqui Giggino e Matteo a quello di terzo presidente del Consiglio, dopo due signori che si chiamavano De Gasperi e Andreotti, che, con ogni probabilità - ma la certezza in questo caso, con buona pace del Magnifico, vi sarà domani - guiderà due governi con maggioranze diverse.
Il precedente a cui è stato più volte accostato questo esecutivo che verrà è proprio quello del divo Giulio, la solidarietà nazionale del 1978, tragicamente segnata dal rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro. Ora ci possono essere analogie ma anche parecchie differenze. Primo perché, con tutto il rispetto, Di Maio e Zingaretti non possono essere paragonati a Moro e Berlinguer, e neppure Conte ad Andreotti. E poi quell’esperienza governativa nasceva dalla necessità di contrastare nemici terribili quali le Brigate Rosse e i rischi degli “stridor di sciabole” evocati anni prima da Pietro Nenni, cioè di una svolta eversiva dell’Italia a destra, in salsa cilena. Ora, poiché il tempo riduce tutto a caricatura del passato, i nemici si chiamano Salvini e aumento dell’Iva, non proprio la stessa cosa. E poi, al netto della tragedia di Moro, quel precedente non è certo ben augurante perché la solidarietà nazionale morì in pratica assieme al presidente della Dc, con un governo che il Pci votò solo sull’onda dell’emergenza provocata dalla strage di via Fani, composto dai soliti democristiani incollati alle poltrone e ben lontano dai propositi di cambiamento evocati da Berlinguer.
Caso mai è questo l’errore da non ripetere: la scelta della squadra. Qui i due partiti, ma soprattutto il Pd, si giocano tutto. Soprattutto l’eventualità di non riconsegnare il paese alla Lega e al centrodestra quando, prima o poi, si tornerà a votare. Checché se ne dica aggrappandosi ad ogni sofismo il governo giallorosso è assai poco rappresentativo dell’attuale animo, o forse bisognerebbe parlare di pancia, dell’Italia. Solo con un’azione davvero di cambiamento e non con le ciance già sentite, con le riforme possibili in tema di fisco, giustizia, burocrazia, ambiente e senza sbattere la porta in faccia al Nord sul tema dell’autonomia che non è solo un tema leghista, anzi, si riuscirà forse a cambiare l’orientamento di un voto che è mobile come la donna di Giuseppe Verdi.
Per ora, se nascerà, questo esecutivo è solo un frangiflutti per evitare le elezioni e isolare l’ingombrante Capitano. D’altra parte, nella speranza che il geniale autore della saga sulla crisi, abbia previsto questo finale, e non è scontato visto che i colpi scena di susseguono, non sarebbe poi una sorpresa che alla fine Giggino e il fratello del commissario Montalbano si rassegnino a un accordo che per i noti motivi chiamati Dibba, Casaleggio e Renzi da una parte e dall’altra, non li entusiasma. La soluzione delle urne, ora, per il Pd equivarebbe a un mezzo suicidio politico. Un conto andare in cabina con l’esecutivo gialloverde imploso e impostare la campagna elettorale sul suo fallimento, altro mettere le croci sulle schede dopo aver dato l’impressione di cercare un’intesa a tutti i costi con il vecchio nemico e neppure esserci riusciti.
Dalla parte dei grillini, si sa. Le elezioni sarebbero una cura dimagrante come quella del Gino Bramieri di “Cinquanta chili fa” (chissà perché questa crisi richiama sempre il varietà) ma il ritorno di fiamma con Salvini, seppure invocato da buona parte dei pentastellati e seppure con Di Maio a palazzo Chigi, una situazione ingestibile.
Adesso tanti auguri. Perché il sospiro di sollievo per lo scampato pericolo elettorale ha il fiato cortissimo. Ben altri perigli attendono questo governo eventuale: a partire da una legge di bilancio da costruire in epoca di recessione e da un’opposizione che, a questo punto Salvini, se riuscirà a restare a galla, condurrà senza respiro e senza quartiere in Parlamento e soprattutto nelle piazze. In questo senso un’eventuale abolizione del “sicurezza bis” potrebbe addirittura aiutarlo. Scherzi a parte, se accordo ci sarà, sotto con il programma e la squadra. Fateci vedere facce nuove e, possibilmente, credibili. Per ricicciare i vecchi arnesi della politica ci sarà tempo più avanti.
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