Economia / Sondrio e cintura
Venerdì 10 Maggio 2019
Settore idroelettrico, emorragia di posti
«Servono garanzie»
I sindacati chiedono un impegno preciso. «In 20 anni non sono state rimpiazzate 500 unità. Enti e politica devono rivendicare più occupazione».
Ben 448 lavoratori in meno in vent’anni, per un risparmio annuo per le aziende di oltre 25 milioni di euro, visto che un dipendente costa mediamente 50mila euro all’anno. Se prendiamo a riferimento il periodo 1990–2019 il saldo è ben più elevato. Nel 1990 gli addetti erano 1077: si è scesi di 731 unità, visto che ora sono 346, e il risparmio annuo ammonta a ben 37 milioni di euro. Bastano queste cifre a introdurre il punto di vista dei sindacati, Filctem-Cgil e Flaei-Cisl, sul settore idroelettrico in provincia di Sondrio. Secondo le due organizzazioni sono stati vent’anni «di sole rivendicazioni economiche da parte della politica territoriale ad ogni livello, assecondate dalle società concessionarie a fronte di una parallela e puntuale riduzione degli organici».
Un vera e propria mattanza, sempre secondo i sindacati, a cui il territorio tutto, «con l’unica eccezione periodica dei sindacati di categoria, ha assistito in maniera passiva».
Se da un lato la stagione delle compensazioni economiche frutto di adeguamenti normativi di legge è oggi ancora presente e consolidata, per Cgil e Cisl non possiamo dire altrettanto della questione occupazionale. A febbraio 2019 il governo ha approvato la legge sulla disciplina dell’assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico, disponendo la regionalizzazione della proprietà delle opere idroelettriche alla scadenza delle concessioni e nei casi di decadenza o rinuncia alle stesse. In particolare si prevede il trasferimento alle regioni, una volta cessata la concessione, delle cosiddette “opere bagnate” (ad esempio dighe e condotte) a titolo gratuito e delle “opere asciutte” (beni materiali), con corresponsione di un prezzo da quantificare al netto dei beni ammortizzati, secondo dati criteri.
«I vincoli, da includere nei futuri bandi di concessione dovranno prevedere obblighi per i nuovi operatori a mantenere le attività e la destinazione dei siti, a riqualificare tecnologicamente gli impianti, a presentare credibili piani di investimento societario e a incrementare i livelli occupazionali diretti attraverso piani di riposizionamento interno di tutta una serie di attività», proseguono i sindacati. Le soluzioni normative dovranno insomma prevedere per i futuri concessionari non solo il mantenimento dei trattamenti contrattuali attualmente in essere per tutto il personale alle dirette dipendenze, «ma anche per tutte le attività rientranti nel perimetro oggetto di concessione, dovranno essere garantiti gli stessi trattamenti economici e normativi: ad oggi già registriamo percentuali di attività terziarizzata che oscilla tra il 40 ed il 60%. Si dovranno inoltre inserire clausole che prevedano progetti pluriennali di interventi a salvaguardia e manutenzione del territorio, offrendo così vere opportunità di lavoro e reddito per aziende locali». Nella legge nazionale per il tema dell’occupazione ci sono due sole righe, con «la previsione, nel rispetto dei princìpi dell’Unione Europea, di specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato».
L’intervento si chiude con un appello alle istituzioni locali. «Con queste premesse, è del tutto evidente che il tema dei posti di lavoro corre seriamente il rischio di essere ancora una volta la parte più debole. Da qui alla fine dell’anno sarà necessario affrontare anche questo argomento affinché la legge regionale vada oltre la semplice enunciazione di impegni alla stabilità occupazionale ed inserisca clausole realmente esigibili».
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