Economia / Sondrio e cintura
Lunedì 06 Novembre 2017
«Rigamonti, rischiata la chiusura
Ora l’azienda è rinata»
Vittorio Boscacci ripercorre le difficili tappe: «Scelte dolorose ma col tempo si sono rivelate giuste».
Era il novembre del 2013, l’anno del centenario del salumificio Rigamonti. Negli stabilimenti e davanti ai cancelli di Montagna in Valtellina l’atmosfera era cupa. Il deficit accumulato nel triennio precedente - si parlava addirittura di 15 milioni di euro - aveva reso inevitabili misure drastiche. Erano a rischio oltre cento posti di lavoro, ma non solo. Se il piano di ristrutturazione non fosse stato condiviso, il futuro della stessa Rigamonti sarebbe stato messo in discussione.
La lunga e faticosa mediazione fra le segreterie dei sindacati degli alimentaristi e il manager Attilio Pellero, rappresentante della proprietà, i brasiliani della Jbs, è stata segnata da sacrifici rilevanti per i lavoratori e i loro rappresentanti. Ma il peggio è stato evitato. E ora, mentre le prospettive sono tornate, nel giro di 48 mesi, positive, nelle sedi sindacali c’è la consapevolezza di aver puntato sulla scelta giusta. Difficilissima, ma forse per questo ancora più corretta.
«Quattro anni fa si è rischiata la chiusura - ricorda Vittorio Boscacci, il segretario della Flai che guidò la delegazione sindacale insieme a Danila Barri della Cisl e Donatella Canclini della Uil -. Certo, la mobilità per decine di lavoratori è stata un passaggio doloroso. Ma oggi la situazione è ben differente. Il fatturato aumenta del 14% circa e anche dalla produzione arrivano dati incoraggianti, visto che nei primi sei mesi dell’anno sono state vendute ben 3500 tonnellate».
Ma non è solo una questione di numeri. «Quest’azienda continua a rappresentare un esempio positivo in termini di relazioni sindacali e di utilizzo tutto sommato contenuto di operai in somministrazione. Questa tipologia di contratti viene usata per affrontare i picchi di produzione con dei numeri che riteniamo accettabili nei tre stabilimenti di Rigamonti. Rispetto ad altri siti produttivi nei quali, nel 2017, il sindacato fa fatica a entrare e i tempi determinati che passano dalle agenzie sono diffusi in modo esagerato, qui le condizioni sono ben migliori. In questo settore ci sono aziende che utilizzano in modo eccessivo la somministrazione. Spesso parlando di bresaola si parla di eccellenze: noi crediamo che non sia possibile utilizzare questo termine se non riguarda anche la qualità del lavoro, anche perché il valore del prodotto finale è strettamente connesso al capitale umano di ciascuna società».
Da anni i sindacati parlano di contrattazione di secondo livello nel settore. «Nei prossimi tempi vorremmo riprendere un percorso di assemblee per discutere di previdenza integrativa e contrattazione di settore. Sappiamo che questa seconda discussione non sarà semplice visto che finora è stato impossibile, e non certo per nostra volontà, fare sintesi. Ma noi continuiamo a ritenere opportuno un dialogo con le singole aziende per arrivare alla contrattazione integrativa come abbiamo fatto di recente con la società Del Zoppo di Buglio in Monte, un’intesa che riguarda circa 80 dipendenti».
Boscacci rileva che, «come evidenziato in più occasioni anche dalle associazioni degli imprenditori, la contrattazione decentrata offre dei benefici non solo al lavoratore, ma anche alle aziende: sarebbe il caso di utilizzare queste opportunità facendo in modo che non restino solo sulla carta, altrimenti sarebbe un’occasione sprecata». La tematica, naturalmente, non è solo di questa categoria, che nei prossimi anni dedicherà una speciale attenzione a quest’analisi, «sia per i dipendenti delle aziende, sia per i somministrati». Ma visto che gli alimentaristi sono stati spesso all’avanguardia in termini di salari e diritti, questo potrebbe essere un contesto adeguato per introdurre una forma di sperimentazione.
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