Economia / Morbegno e bassa valle
Giovedì 23 Maggio 2019
Riello, braccia incrociate all’ora di pranzo
Morbegno, gli operai si sono fermati un’ora per chiedere all’azienda di non chiudere la mensa, attiva dal 1994. I sindacalisti: «Togliere un benefit così importante è un brutto segnale per il futuro della fabbrica, ci preoccupa».
All’ora di pranzo gli operai della Riello hanno incrociato le braccia. Si sono fermati per un’ora sia per chiedere all’azienda di non chiudere la mensa, sia per manifestare la propria preoccupazione per il futuro dello stabilimento.
La fabbrica di Morbegno, che in passato ha dato lavoro a centinaia di tute blu - erano 242 alla vigilia della grande crisi del 2012 -, oggi impiega 85 dipendenti ed è di proprietà del gruppo United Technologies Corporation. Ieri quasi tutti i lavoratori, occupati nella produzione di scambiatori, ricambi, pannelli solari e caldaie a basamento, hanno aderito all’iniziativa proclamata nei giorni precedenti da Fim-Cisl e Fiom-Cgil.
«La dirigenza vuole chiudere definitivamente la mensa, che è attiva dal 1994 ed è sempre stata un fiore all’occhiello di questo stabilimento – spiega Gabriella Marcelli, ex delegata della Fim-Cisl -. La donna che la gestisce sta per terminare la propria attività e l’azienda ha deciso, senza alcuna trattativa e senza avvisarci, di fare cessare questo servizio alla fine di luglio. È davvero un brutto segnale per il futuro di questa fabbrica. Siamo preoccupati».
L’anno scorso, ricordano i lavoratori che ieri si sono riuniti davanti al cancello per manifestare insieme ai rappresentanti del sindacato, c’erano circa 30 stagionali, ora invece c’è la cassa integrazione ordinaria a rotazione. Uno dei pochissimi casi di cig in un settore metalmeccanico valtellinese che, tra alti e bassi, si è ripreso dopo un lungo periodo di sofferenza. «Non sappiamo cosa ci aspetta – sottolinea Paolo Pegorer -. Il futuro è abbastanza incerto. Io lavoro qui da 25 anni, per me si avvicina la pensione, ma sono preoccupato per tutti i miei colleghi: chiediamo prospettive per il futuro».
Tornando alla mensa, la chiusura è fonte di disagio, perché nei dintorni non ci sono alternative. «La possibilità di pranzare qui è un valore aggiunto, se lo perderemo sarà un passo all’indietro anche per l’immagine della fabbrica», spiega Giorgio Manni, che in fabbrica si occupa di manutenzione.
«Già in passato abbiamo fatto tante rinunce, almeno questo servizio dovrebbe essere difeso – aggiunge Manni -. Molti di noi vivono in altri Comuni, le mansioni sono impegnative e potere pranzare in modo adeguato è fondamentale». Oggi i lavoratori, sulla base di accordi del passato, pagano un euro a pasto, e secondo alcuni ci sarebbe la disponibilità a valutare l’ipotesi di aumentare questa quota. Ma finora non c’è stato alcun dibattito con la dirigenza.
«Da un lato nei confronti con la società si parla di aumento del lavoro e di crescita dell’efficienza, dall’altro invece si toglie un benefit così importante: non possiamo ritenerlo un fatto positivo», spiegano i sindacalisti Alberto Sandro (Fiom-Cgil) e Vittorio Cantoni (Fim-Cisl). I due segretari dei metalmeccanici rilevano «che non c’è proprio stata la possibilità di discutere, finora: se ci sarà l’opportunità di affrontare quest’argomento noi non ci tireremo indietro».
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