L’osteria Casa di Lucia ha chiuso i battenti dopo 42 anni. Piras: «Costi di ristrutturazione troppo elevati»

L’Antica Osteria Casa di Lucia ad Acquate ha cessato la sua attività. Il regno di Carlo Piras e di Antonella Pinto ha chiuso i battenti alla fine del 2024, ovvero pochi giorni fa. E’ la conclusione di una storia iniziata nel 1983 e che ha lasciato un segno profondo a Lecco, e non solo.

Locale unico, di un’atmosfera suadente, è stato il luogo dove tantissimi hanno trascorso momenti unici. Parliamo di tutto questo con Carlo Piras, l’oste per eccellenza di questi nostri ultimi quarantadue anni.

Ci spieghi come mai siete arrivati alla decisione di mettere la parola fine alla “Casa di Lucia”, come molti la chiamavano?

L’immobile in cui ci troviamo ha urgente bisogno di una radicale ristrutturazione e noi, sinceramente, non eravamo in grado di assumerci oneri troppo elevati. Per questo abbiamo dovuto ammettere, molto a malincuore, che era arrivato il momento di fermarci. Detto questo devo anche aggiungere che sono sereno. Mi dispiace moltissimo per i miei clienti, che continuano a telefonarmi per esprimermi la loro tristezza.

Quando è iniziata la vostra avventura?

Abbiamo aperto il 7 ottobre del 1983. Dopo otto anni in fabbrica, avevo deciso di cambiare vita. E’ stato un azzardo ed i primi tempi non sono stati facili, ma ce l’abbiamo fatta. Per capire com’era la Lecco di allora, dico solo che in città c’erano duecento posti letto e la stragrande maggioranza delle camere d’albergo non aveva il bagno. In quel contesto siamo arrivati noi. Abbiamo imparato il mestiere cammin facendo, ma devo anche dire che alla nostra apertura avevamo una carta dei vini di cento etichette. Dunque, sapevamo dove volevamo andare. Peraltro, insieme a Giacomo Mojoli sono stato uno dei primi a fare i tre corsi di sommelier. Non ho mai esposto diplomi in osteria, perché i riconoscimenti migliori arrivavano dai clienti che tornavano a trovarci.

Parlavi delle difficoltà dei primi anni. A cosa ti riferivi?

Innanzitutto dovevamo farci conoscere e, per fortuna, il passa parola ci ha aiutato. Poi ci sono state alcune fibrillazioni esterne. Nel 1984 dei vicini hanno inviato a mezzo mondo una lettera in cui il nostro locale era descritto come il regno del male. Siamo finiti sui giornali, ma abbiamo retto e dimostrato a tutti che l’unico disguido che potevamo arrecare era qualche auto posteggiata male. Peraltro, sono sempre stato molto rigido con chi entrava e sono spesso intervenuto quando qualcuno usciva dalle righe.

La Casa di Lucia ha attraversato quella che possiamo definire la cultura del bere. Quali sono stati i cambiamenti più importanti?

A Lecco, quando abbiamo cominciato, girava del gran vino sfuso, di provenienza meridionale, messo di solito in grandi pestoni chiusi col tappo a corona. È negli anni Settanta che si è cominciato a vedere qualche bottiglia giusta anche nei bar, che si è cominciato a bere il prosecco come aperitivo.

Cosa ha determinato il radicale cambiamento di tendenza che ha portato ai giorni nostri?

Lo scandalo del metanolo, alla metà degli anni Ottanta, ha creato una cesura netta. Si è compreso che era necessario sapere e capire che vino si stava bevendo. Da quel momento l’approccio mentale al vino è cambiato completamente. Oggi anche a Lecco si privilegia il piacere del bere, per cui si beve meno, ma si beve meglio. Del resto vendere del vino scadente è un sacrilegio perché si può bere bene anche con prezzi assolutamente contenuti.

Alla Casa di Lucia sono arrivati anche Carlin Petrini e Luigi Veronelli. Ce ne vuoi parlare?

Carlin Petrini è arrivato da noi per una serata nel 1986. Allora si parlava di Arcigola e non ancora di Slow Food. Facemmo molte serate con personaggi del vino e tra questi arrivò anche quel grande uomo che fu Luigi Veronelli. Era un personaggio unico e curioso. Volle subito scendere in cantina e bevemmo una bottiglia di Chardonnay della Nuova Zelanda che apprezzò tantissimo.

Immagino siano stati molti i personaggi che hanno messo piede in osteria. Ti ricordi qualche nome?

Qui è arrivato Fausto Bertinotti, l’avvocato Raffaele Della Valle, che fu il legale di Enzo Tortora, e diversi attori come Alessandro Haber, Alessandro Preziosi ed Angela Finocchiaro. Quello a cui sono più affezionato è Antonio Albanese. E’ stato uno dei miei primi clienti e periodicamente è sempre tornato. Quando ha girato a Lecco e Olginate alcune riprese del suo ultimo film, ha sempre mangiato da noi con tutta la troupe.

Dopo quarantadue anni di onorata carriera, quali sono le tue riflessioni?

Io sono un operaio che è diventato oste. Per questo ho sempre avuto un grande rispetto per chi ha faticato in fabbrica. Ci sono stati alti e bassi, ma siamo sempre stati aperti. Nessuno sembra ricordarsene, ma durante la pandemia siamo stati chiusi otto mesi. Arrivavo in osteria come un ladro e tutto era fermo. Anche in quel caso abbiamo resistito e, tra l’altro, non abbiamo mai lavorato tanto come negli ultimi tre anni. In sintesi estrema posso solo dire che in questo locale ho messo dentro la mia anima.

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