Lecco non è una città a misura di pedone

Il territorio lecchese con un indice del 28,5% si posiziona al 95esimo posto in Italia su 107 province: solo il 28,5% dei residenti può fare la spesa senza prendere l’auto

Uscire di casa a piedi e raggiungere un negozio di alimentari nel tempo di una passeggiata sta diventando un lusso che in Italia è concesso a quattro italiani su dieci, nel territorio lecchese va peggio, solo il 28,5% dei residenti può fare la spesa senza prendere l’auto. A misurare la vicinanza fisica dei servizi alle persone, è un indice realizzato nell’ambito del progetto Urban Pulse 15 elaborato dal Centro studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne in collaborazione con IlSole24Ore. Il territorio lecchese con un indice del 28,5% si posiziona al 95esimo posto in Italia su 107 province. L’indice rappresenta una media tra capoluogo e provincia, grande e piccola distribuzione.

In merito alla grande distribuzione a Lecco città il 50,5% dei residenti riesce a raggiungere un punto vendita in meno di 15 minuti a piedi (cinque supermercati ogni 10 km quadrati), nel resto della provincia la media è invece del 30,9% (due attività ogni 10 kmq). Per quanto riguarda il piccolo commercio al dettaglio (panifici, macellerie, pescherie, fruttivendoli) a Lecco città il 44,6% dei residenti riesce a raggiungere un punto vendita in meno di 15 minuti a piedi (13 attività ogni 10 km quadrati), nel resto della provincia l’indice è invece del 19,9% (tre attività ogni 10 kmq).

Il tema, al di là delle classifiche che forniscono sì indicazioni, ma non sono oracoli, è quello della desertificazione commerciale come sottolinea Alberto Riva direttore di Confcommercio Lecco: «In questi ultimi vent’anni il proliferare della grande distribuzione food è stata ovviamente causa della chiusura dei negozi di vicinato soprattutto alimentari, quelli che sono sopravvissuti si sono riconvertiti aggiungendo altre attività rispetto alla vendita di generi alimentari oppure alzando la qualità dell’offerta».

Da qualche anno è in atto un processo diverso: «La grande distribuzione non si insedia più con grandi strutture, ma adotta un target “similare”, similare con tante virgolette, al negozio di vicinato con metrature più ridotte e cercando di insediarsi nei centri storici delle città». La desertificazione commerciale non è conseguenza solo della grande distribuzione, è un insieme di più fattori tra i quali «il cambio di abitudini dei consumatori, il passaggio generazionale, figli che non vogliono portare avanti l’attività di famiglia, e anche alcune politiche delle amministrazioni comunali che non agevolano e non supportano i negozi di vicinato».

Non è solo una questione di comodità, uscire di casa a piedi e fare la spesa, è un tema di servizi: «La rete commerciale, soprattutto in questo periodo storico, rappresenta un punto di forza per dare non solo decoro alle città, ma anche servizi e sicurezza».

Cosa si potrebbe fare per invertire la tendenza o quanto meno frenarla? «Bisognerebbe insistere maggiormente sui distretti del commercio, Regione Lombardia lo sta già facendo, ma dovrebbe farlo di più. Trovare finanziamenti, non a pioggia, ma mirati per cercare di sostenere e sviluppare il commercio di vicinato. Le amministrazioni locali dovrebbero ridurre, per qualche anno e per certe tipologie di attività, quella che è la tassazione di alcune imposte prettamente locali, servirebbe anche una riunione di Anci, l’Associazione nazionale comuni italiani, per rendere gli interventi strutturali almeno per un certo periodo di tempo».

Confcommercio da tempo a livello nazionale sta lavorando anche per fare in modo che gli interventi urbanistici sui centri storici tengano conto della presenza dei negozi di vicinato «e che gli stessi negozi siano i protagonisti di questa nuova idea di progettazione delle città e dei paesi».

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