Intelligenza artificiale per selezionare giovani? «Strumento efficace, ma senza cuore»

Alzi la mano chi non ha sentito nell’ultimo anno citare almeno una volta al giorno la sigla AI - artificial intelligence - che in italiano basta rovesciare per avere lo stesso risultato IA - intelligenza artificiale.

La tecnologia digitale generativa è diventata pervasiva a tal punto che non può più essere esclusa dalla nostra quotidianità. E ovviamente non poteva che trovare un forte sviluppo nel mercato del lavoro.

L’IA, infatti, si è rivelata un prezioso alleato nel mondo del recruiting, soprattutto quando si tratta di gestire le candidature della Gen Z. Infatti, secondo una ricerca Ranstad, il 72% dei giovani apprezza l’utilizzo di strumenti digitali nel processo di selezione. Lo screening automatizzato del curriculum vitae consente di selezionare in pochi secondi i candidati più adeguati all’offerta di lavoro.

Innovazione e adattabilità

Per attrarre e trattenere i ragazzi under 27, le aziende sono chiamate a una costante innovazione, non solo nella fase di recruiting. Questa generazione, infatti, è abituata a vivere in un mondo in rapido cambiamento, dove la tecnologia gioca un ruolo centrale.

Di conseguenza, i giovani professionisti si aspettano che anche il loro ambiente di lavoro sia altrettanto dinamico e innovativo.

L’adozione di nuove tecnologie, come piattaforme collaborative, strumenti di gestione del lavoro basati su cloud e software di comunicazione avanzati, non solo facilita il lavoro quotidiano, ma dimostra anche che l’azienda è

pronta ad investire nelle soluzioni più moderne per migliorare l’efficienza e la produttività. Questa apertura all’innovazione è particolarmente apprezzata dalla Gen Z, che cerca ambienti di lavoro dove possa crescere professionalmente. I giovani - dipinti spesso come viziati scansafatiche - portano con sé una ventata di freschezza. Sono nativi digitali, quindi estremamente competenti con le nuove tecnologie perché immerse nella loro vita. La loro

familiarità con i social media, le applicazioni e le piattaforme digitali li rende molto abili nell’adattarsi agli ambienti di lavoro moderni. Nonostante la loro apparente immagine disorientata, in realtà la loro creatività può contribuire a risolvere problemi complessi.

Le risorse umane

In particolare l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il settore delle risorse umane (Hr) in diversi modi, trasformando i processi di selezione, onboarding, formazione e gestione delle prestazioni. Sul fronte aziendale, il tema è particolarmente sentito e l’Osservatorio Delta Index lo ha affrontato con Beatrice Manzoni, associate professor of Practice nella knowledge Area «Leadership, Human Resources and Digital Technologies» presso SDA Bocconi School of Management, dove è direttrice dei Programmi Executive «Intensivo HR Management», «Avanzato HR Management», «Il Leader Coach» e

«Creatività al lavoro».

Quali strumenti di intelligenza artificiale sono attualmente più utilizzati nelle aziende per la selezione dei giovani?

«Vengono utilizzati in gran parte software di tracking delle candidature potenziati dall’IA che consentono di filtrare automaticamente i CV sulla base di parametri e criteri impostati. Fanno risparmiare tempo, permettono di analizzare, archiviare e avere accesso a un numero elevato di candidature. Di contro sono meno flessibili nel gestire le eccezioni e rischiano di scartare candidature con un ottimo potenziale che non sono al 100% in fit con i parametri preimpostati».

I chatbot piacciono ai giovani? Quali sono i punti di forza e i limiti?

«Per i chatbot virtuali che danno informazioni ai candidati nelle diverse fasi del processo di reclutamento e selezione, direi che la velocità di risposta è sicuramente un fattore apprezzato dai giovanissimi, che spesso lamentano la lentezza dei processi di selezione e l’assenza di feedback durante il processo. Se opportunamente “formati” i chatbot sono in grado di porre domande di screening iniziale ai candidati e di valutarne la qualità della risposta. Se da un lato questo rappresenta un risparmio di tempo per chi seleziona, il rischio è che l’IA riproponga le distorsioni usate in passato o quelle della persona umana che ha “formato” il chatbot».

Un’altra tecnologia con la quale la Gen Z ha dimestichezza è quella delle video interviste con l’IA. Non è un po’ spersonalizzante?

«Le video interviste con IA hanno almeno due vantaggi: il risparmio di tempo e i volumi gestiti. Gli svantaggi però non sono indifferenti: c’è una totale assenza di empatia, non c’è la possibilità per il candidato di farsi un’idea delle persone che lavorano in azienda e di valutare a sua volta se il contesto è giusto. E non ultima, la riproposta degli stessi “bias” utilizzati nelle selezioni passate».

In quali fasi della selezione l’IA può portare un valore aggiunto alle aziende nella comprensione (e quindi assunzione) delle nuove generazioni?

«Vedo grande potenziale nell’uso dell’IA nei processi di onboarding per fornire le informazioni base e in generale anche post onboarding per rispondere a quesiti più tecnici, senza rinunciare poi ad induction face to face che permettano di conoscere i colleghi».

Cosa non potrà mai essere interamente automatizzato?

«L’utilizzo dell’IA permetterebbe di liberare spazio nelle agende degli Hr per parlare di più con le persone su base quotidiana. Le attività connesse allo sviluppo individuale e di team sono quelle su cui i leader possono meno far leva sull’IA e devono continuare a far leva sull’aspetto umano».

Come percepisce la Gen Z l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel recruiting? I ragazzi sanno utilizzarla in modo efficace?

«Quello che vediamo nelle aule universitarie è che usano l’IA come motore ricerca e per trovare le prime risposte a tante domande. Possiamo quindi aspettarci che la usino per raccogliere informazioni sull’azienda prima di un colloquio o per avere una traccia di risposta alle domande classiche da colloquio».

Quali sono le loro aspettative e preoccupazioni principali?

«Le ricerche ma anche il contatto quotidiano con i ragazzi di questa generazione ci dicono che, a dispetto della virtualità in cui sono cresciuti, usano ma non si accontentano dell’IA, quindi ricercano il contatto umano e preferiscono le interviste di persona in azienda rispetto a quelle online, vogliono incontrare le persone, vedere gli spazi di lavoro e soprattutto nei primi tempi in azienda vivere l’ufficio e non fare così tanto smart working».

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