Economia / Sondrio e cintura
Giovedì 18 Ottobre 2018
«In Valle le pensioni sono più basse»
Tra quelle di anzianità, invalidità e sociali la media è di 796 euro, inferiore a quella regionale e nazionale.
Le pensioni dei valtellinesi sono più basse della media lombarda e nazionale e sul fronte dei servizi socio-sanitari la situazione è sempre più complicata. Sono stati questi i principali argomenti al centro dell’attenzione del congresso dello Spi-Cgil svoltosi oggi all’hotel Combolo di Teglio.
Un evento che ha rappresentato un momento di confronto e analisi sulle principali questioni che riguardano i pensionati, ma anche un appuntamento prezioso per fare il punto sui servizi sociali e sanitari della provincia. Il dibattito si è basato sulle esperienze dei sindacalisti e soprattutto sul supporto di varie ricerche effettuate o analizzate dal segretario generale Ettore Armanasco e dai suoi collaboratori. E proprio dai numeri arrivano indicazioni chiarissime sulle condizioni dei pensionati valtellinesi. Nel 2018 sono oltre 51mila i trattamenti erogati, con un calo di 2600 unità rispetto a quattro anni fa. Le pensioni di anzianità e vecchiaia sono circa 31.700, con un importo mensile medio di 1023 euro.
«Ma la media complessiva, tenendo conto delle basse cifre che riguardano assegni sociali, di invalidità e ai superstiti, è di 796 euro – sottolinea Armanasco -. Un importo che non solo è ben inferiore alla media regionale, pari a 1041 euro, ma anche a quella nazionale, che è di 855».
Questa fotografia, è bene ricordarlo, deve tenere conto del fatto che migliaia di valtellinesi e valchiavennaschi possono contare su assegni esteri, che spesso sfuggono alle statistiche e sono mediamente ben più elevati. Ma il quadro descritto è comunque molto significativo. «Siamo quindi di fronte a cifre ben diverse dall’immaginario collettivo, quello che dipinge i pensionati come una categoria di privilegiati – prosegue Armanasco -. Certo si tratta di una media, qualcuno direbbe di una “media del pollo”, ma se andiamo ad analizzare la distribuzione più in profondità emerge che oltre il 72% delle pensioni pagate in provincia è inferiore ai 1000 euro. Quelle che si collocano nella fascia tra i 1000 e i 1500 euro sono il 13.5%, tra i 1500 e i 2000 il 7,5%, e quelle che possono apparire come privilegiate, sopra i 3000 euro, appena l’1,3%, in cifra assoluta 756 trattamenti. Questa è la cruda realtà dei numeri ed è bene chiarire che si tratta di cifre lorde e quindi assoggettate all’Irpef, a cui vanno sommate le tasse locali». Alle pensioni basse, secondo i dati proposti da Armanasco, si affiancano redditi da lavoro dipendente altrettanto limitati: sono appena sopra i 20mila euro, a fronte dei 24.600 della Lombardia e dei 20.700 della media italiana, sempre tenendo conto della variabile svizzera che potrebbe incidere in modo non trascurabile.
«Questa situazione richiederebbe una pluralità di interventi per promuovere tanto la salute quanto, più in generale, il benessere sociale, fisico e psicologico delle persone – rileva Armanasco -. Invece ci troviamo di fronte a un peggioramento dei servizi, in particolare di quelli sanitari». Lo Spi mette al centro dell’attenzione «una sanità pubblica che non solo è peggiorata, ma oggi è alla deriva, con tempi di attesa per esami e visite specialistiche sempre più lunghi, reparti ospedalieri che subiscono tagli ed accorpamenti privi di logica, se non quella dei risparmi: molte persone rinunciano a curarsi e inoltre la carenza di medici di base è motivo di allarme». La proposta dei pensionati della Cgil è chiara. «Serve una vera e propria vertenza provinciale sulla sanità, da costruire attraverso un gruppo di lavoro costituito con Cisl, Uil e la Conferenza dei sindaci. L’attendismo di oggi potrebbe avere conseguenze gravi, soprattutto se pensiamo a quanto sono importanti questi servizi per gli anziani».
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