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Domenica 24 Novembre 2024
Il manager di LinkedIn: «Così l’intelligenza artificiale cambierà il lavoro»
Quando si parla di lavoro non si può escludere LinkedIn. La piattaforma social più utilizzata al mondo da aziende, professionisti e dipendenti ha superato il miliardo di utenti iscritti in oltre 200 Stati. In pratica, ospita e crea relazioni tra quasi un terzo della popolazione attiva globale. Numeri monstre confermati anche in Italia: in 12 anni gli iscritti sono passati da 1 a 21 milioni. Di questi, oltre la metà sono compresi nella fascia d’età che sta muovendo i primi passi della propria carriera lavorativa e un terzo appartiene alla Gen Z, gli under 27 protagonisti del nostro Osservatorio Delta Index che aiuta le aziende a essere sempre più attrattive verso le nuove generazioni.
È con questo sguardo che abbiamo visitato la sede di LinkedIn Italia a Milano ospiti del country manager Marcello Albergoni. LinkedIn, di proprietà Microsoft, racchiude in sè tutti gli elementi più attrattivi per un giovane lavoratore: orari flessibili, uffici al 19° piano del grattacielo sopra Porta Garibaldi con vista sul balcone di casa Ferragni, ambienti dove i tempi lavorativi si conciliano perfettamente con la pausa grazie alla cucina (da rivista di design e ogni bendidio da gustare), ai salotti, ai giochi (strumenti musicali, biliardino, ping pong, area lettura, videogiochi), alle biciclette appese all’ingresso per spostarsi velocemente a Milano e alle sale riunioni tra le quali spicca quella a tema cantina con soffitto composto da calici di vino rovesciati e parete di fondo con i vini pregiati Insomma, il tempio social del lavoro assomiglia più agli interni di un appartamento lussuoso. Ed è proprio qui che si respira davvero il cambiamento del modo di stare e di vivere il lavoro. Marcello Albergoni, il vostro sguardo si posa su tutto il mondo dei lavoratori, il nostro di Delta Index sugli under 27. Come ha visto cambiare il mondo con l’irruzione della Gen Z? «Il mondo del lavoro stava già cambiando prima dell’ingresso della Generazione Z. Tutto è iniziato con le piattaforme digitali, soprattutto per quanto riguarda le connessioni che le persone hanno iniziato a creare in maniera incredibile. Poi siamo passati attraverso la pandemia, il ritorno al lavoro, e infine siamo entrati in una fase di collaborazione tra generazioni completamente diverse. Adesso abbiamo una coesistenza, negli ambienti di lavoro, di persone di generazioni molto diverse, anche molto giovani, che hanno esigenze e pensieri completamente diversi, dal punto di vista di quello che vogliono fare nella vita e nel lavoro. Quello che noi osserviamo è senz’altro un cambiamento da cui non si può tornare indietro».
I giovani hanno sempre più come priorità la propria vita e meno la carriera. Sulle opportunità di lavoro cosa state rilevando attraverso il social network?
«Ciò che stiamo notando è che le offerte di lavoro, per essere interessanti, devono avere contenuti specifici per queste nuove generazioni, molto diverse rispetto a quelle di dieci anni fa. Vediamo un numero crescente di persone che accede alla piattaforma digitale per mettere insieme domanda e offerta di lavoro. Qui a Milano, ad esempio, ci sono sei persone al minuto che trovano lavoro grazie a LinkedIn. Tempo fa, LinkedIn era considerata una piattaforma soltanto per cercare lavoro, mentre ora la stiamo adattando a diverse tipologie di persone».
I giovani hanno un loro linguaggio, ambienti digitali dove si trovano più a loro agio, come Instagram e TikTok, spazi più ludici rispetto a LinkedIn che rappresenta il mondo del lavoro. Qual è il rapporto con questa generazione?
«Senz’altro noi siamo percepiti come un luogo dove si va per cercare lavoro. Siamo sempre stati molto chiari su questo: è un social network tematico e verticale sulle professioni, quindi non abbiamo mai avuto l’idea di cambiarlo o di Qui, e nelle altre foto, gli uffici e gli spazi relax di LinkedIn a Milano. Gli ambienti di lavoro sopra Porta Garibaldi sono molto confortevoli trasformarlo in qualcosa di diverso. E i giovani lo apprezzano perché sanno che questo è un ambiente professionale di cui ci si può fidare».
Però si iniziano a vedere post scritti dai o per i giovani, con lo stile sarcastico dei meme...
«Dobbiamo essere aperti, perché il nostro obiettivo è dare un’opportunità economica a ogni professionista. È una cosa che facciamo anche con l’inserimento dei video, che sono cresciuti tantissimo, sono tra i contenuti più usati. Noi ci avviciniamo a tutti coloro che sono interessati a parlare di lavoro e che hanno bisogno di connettersi con altre persone. Magari c’è qualcuno che è un po’ più timido e ha bisogno di guardare le aziende, di farsi ispirare, e l’effetto finale può anche essere quello di trovare lavoro. Sappiamo bene che il consumatore su Internet sceglie prima i prodotti. La stessa cosa succede con le persone».
Che genere di contenuti state veicolando per agevolare l’incontro tra le aziende e i giovani?
«Ad esempio aiutando le aziende a realizzare contenuti che siano più digeribili e leggibili per queste generazioni. È chiaro che, se fossimo rimasti ancorati al 2012, quando la piattaforma mobile non esisteva, non saremmo qui. Da quando l’abbiamo immessa sul mercato, si è completamente ribaltato il rapporto tra chi usa LinkedIn su desktop e chi su mobile. Stiamo cercando di costruire un ambiente confortevole e attrattivo per far sì che questa mentalità cambi, anche se non avviene in una notte. Noi possiamo educare le persone, lavorare con le istituzioni, con le università, per far sì che lo studente o chi si affaccia al mondo del lavoro veda LinkedIn come un luogo in cui vale la pena investire il proprio tempo».
Mi sta dicendo che anche scorrendo contenuti leggeri, un giovane potrebbe incappare in un’opportunità?
«Certo, si tratta di un lavoro in due direzioni, quindi lo facciamo sia noi che i giovani che si avvicinano. È chiaro che è difficile, per questo facciamo tante ricerche per capire come essere più interessanti. Posso dire che, in risposta alla tua prima domanda sul rapporto tra giovani e LinkedIn, l’attrattività è molto alta, quindi uno dei segmenti che cresce di più è proprio quello dei giovani e degli studenti. Non credo che siano molto diversi da come eravamo noi nel passato; avevamo solo strumenti diversi».
Quanto è importante che anche le aziende dedichino tempo a costruire sul social network un’identità forte in grado di attrarre i giovani?
«È assolutamente importante. LinkedIn è nato nel 2003, e in Italia siamo arrivati nel 2011. La nostra piattaforma è diventata un elemento essenziale per il lavoro, quindi costruire un’identità aziendale su LinkedIn richiede un investimento di tempo significativo. Abbiamo notato che si sono create nuove figure professionali specificamente incaricate di prendere i contenuti aziendali e renderli fruibili per il pubblico in modo efficace».
C’è poi tutto il capitolo competenze. Le aziende sono alla costante ricerca di giovani talenti, ma come possono trovarli se non si rendono attrattive?
«È un tema centrale. Ad esempio, studi recenti mostrano che, dal 2015 a oggi, le competenze richieste per ogni lavoro sono cambiate del 32%, e prevediamo che cambieranno ancora di più con l’IA, fino al 65%, da qui al 2030. Quindi, se guardiamo al futuro, è evidente che le aziende dovranno attrarre competenze fresche e aggiornate in continuazione. Questo ciclo continuo di rinnovamento delle competenze può essere completato solo se un’azienda costruisce una solida identità che possa attrarre anche le nuove generazioni, fornendo loro un ambiente in cui crescere e imparare».
I social network sono strumenti chiave per conoscere le aziende. Le grandi hanno già capito l’importanza, per le piccole e medie imprese il passaggio è più complesso. Come si può aiutare queste realtà a comprendere l’importanza di farsi notare dai giovani?
«È un processo organico che richiede tempo e investimenti. Noi di LinkedIn cerchiamo di raggiungere tutte le realtà aziendali con i nostri team, che lavorano su misura per le esigenze specifiche delle piccole e medie imprese, aiutandole a costruire una presenza sul social network. Collaboriamo anche con realtà esterne per promuovere una cultura digitale. Il percorso è simile a quello di ogni nuova tecnologia: inizialmente è adottata da chi ha risorse rendendo così il lavoro più produttivo e stimolante».
Parlando di sfide demografiche, siamo ormai in un periodo che viene definito «inverno demografico». Quanto impatterà l’intelligenza artificiale nella gestione delle esigenze di assunzione, visto che ci sarà una carenza di giovani talenti?
«L’intelligenza artificiale potrebbe giocare un ruolo significativo nell’automazione di alcune attività, riducendo quindi il bisogno di personale per determinati ruoli. Tuttavia, resta fondamentale il contributo delle competenze umane, che vanno valorizzate al massimo. La vera sfida sarà capire quali processi possono essere automatizzati e quali, invece, richiedono una competenza specifica e insostituibile».
Per concludere, ci può indicare tre parole che rappresentano le caratteristiche chiave per rendere un’azienda più attrattiva agli occhi della Generazione Z?
«Direi autenticità, innovazione e futuro. La Generazione Z è attratta da progetti innovativi, raccontati in maniera autentica, e cerca opportunità di crescita. Credo che questi siano gli ingredienti per costruire un’azienda che abbia successo e che sia in grado di affrontare le sfide del futuro».
Si dice spesso che i giovani non mettano lo stipendio al primo posto. Quali aspetti del welfare aziendale risultano più attrattivi per loro?
«La diversità e l’inclusione sono sicuramente temi molto importanti, così come la possibilità di apprendere continuamente. I giovani vogliono sentirsi accettati per quello che sono e desiderano lavorare in un ambiente che li supporti nel loro percorso di crescita. Cercano manager che sappiano valorizzare le loro competenze e fornire loro le opportunità necessarie per svilupparsi. Per i giovani, il welfare aziendale va ben oltre la retribuzione: include anche la possibilità di costruire un percorso di carriera significativo e di continuare a imparare».
L’intelligenza artificiale sta già trasformando il modo in cui lavoriamo. Come possono le aziende preparare i giovani all’uso di queste nuove tecnologie?
«Le aziende dovrebbero investire in corsi di formazione per introdurre i giovani all’intelligenza artificiale e alle sue applicazioni pratiche. LinkedIn offre corsi gratuiti proprio per facilitare la diffusione della conoscenza in questo ambito. I giovani, essendo nativi digitali, sono già predisposti all’uso della tecnologia, ma è importante fornire loro una formazione che li renda consapevoli e preparati a un uso strategico e tempo per investirci, ma progressivamente si diffonde anche tra le realtà più piccole. Spesso vediamo che queste aziende hanno un’opportunità enorme di attrarre talenti qualificati tramite una comunicazione autentica e strategica, diventando così un polo attrattivo per chi cerca ambienti lavorativi positivi».
Non comunicare è senz’altro una grande occasione persa. Eppure c’è chi ancora tiene un basso profilo per non farsi portare via i dipendenti dai concorrenti...
«È vero ma sono rimasti nel passato. Mi ricordo che all’inizio di questa avventura alcune aziende dicevano: no, io i miei dipendenti non voglio che vadano su LinkedIn perché poi me li portano via. E invece cosa succede? Succede che se tu metti i tuoi dipendenti su LinkedIn e a loro dici di raccontare come stanno nella loro bella azienda, ecco che quella narrazione diventa una calamita per portare a bordo altre persone ancora più brave. E se anche qualche dipendente se ne va te ne arrivano altri perché sei attrattivo».
Dal vostro osservatorio emerge che le competenze cambiano rapidamente, a un ritmo tale che quelle acquisite durante il percorso scolastico rischiano di essere superate. Come si possono conciliare le esigenze delle aziende con il sistema formativo?
«In effetti, altri Paesi hanno già implementato sistemi in cui le competenze vengono inserite nel profilo LinkedIn degli studenti già durante le scuole superiori, creando una continuità tra scuola, università e mondo del lavoro. In Italia, potremmo sviluppare un collegamento simile, con percorsi formativi che permettano ai giovani di mostrare le loro competenze e la loro crescita anche alle aziende. Stiamo implementando l’idea di apprendimento continuo con LinkedIn Learning, uno strumento che offriamo alle aziende per aiutare i dipendenti a restare aggiornati. Questa formazione è cruciale in un contesto di cambiamento rapido delle competenze, poiché consente di aggiornarsi costantemente in modo che il talento interno non perda valore e resti competitivo sul mercato».
Il curriculum vitae ha ancora valore oggi? Oppure stiamo passando a un modello rovesciato in cui sono le aziende a doverlo mostrare per attrarre i talenti?
«Il profilo su LinkedIn è, di fatto, una versione digitale del curriculum, ma con molti vantaggi. Grazie all’intelligenza artificiale, LinkedIn consente di fare un matching automatico tra ciò che le aziende cercano e le competenze dei candidati. Il risultato è che le aziende possono trovare i candidati più adatti senza dover dedicare un’enorme quantità di tempo alla selezione manuale. È fondamentale che i professionisti mantengano il loro profilo aggiornato, perché un profilo ben curato e completo aumenta le probabilità di essere notati da aziende in cerca di talento specifico. Questo sta cambiando anche il lavoro di chi si occupa di risorse umane, rendendo il processo più rapido e accurato».
Le statistiche dicono che i giovani cambiano lavoro ogni due anni. Le aziende devono anche trattenere, non solo ad attrarre. Che tipo di organizzazione e ambiente dovrebbero strutturare per fare in modo che i giovani abbiano voglia di restare?
«Prima di tutto, devono essere trasparenti e autentiche. I giovani cercano una guida, una leadership che li supporti e li faccia sentire parte di un progetto di crescita. È importante comunicare in modo chiaro e non celare nulla, così da costruire un rapporto di fiducia. Inoltre, le aziende devono offrire una certa flessibilità, come la possibilità di lavorare in modalità remota o ibrida, perché i giovani di oggi desiderano un buon equilibrio tra vita e lavoro. Tuttavia, la trasparenza e la chiarezza rimangono fondamentali per costruire un legame duraturo con i dipendenti».
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