Gli sviluppi sul mercato dell’acciaio. Crescerà la domanda della Turchia
Prospettive Il terremoto ha interessato un’area con una forte presenza di impianti siderurgici. Aumenterà il fabbisogno per la ricostruzione, a fronte di un calo produttivo per il fermo impianti
Non soltanto morte e distruzione: il terremoto che a febbraio ha colpito duramente Turchia e Siria potrebbe conseguenze consistenti anche sull’acciaio europeo e italiano.
Il sisma ha infatti interessato un’area turca in cui sono presenti molte acciaierie e il porto di İskenderun, che è stato pesantemente danneggiato, è uno snodo importante per l’import-export di materie prime e prodotti finiti in acciaio.
La Turchia è l’ottavo produttore mondiale di acciaio (35,1 milioni di tonnellate nel 2022 secondo la World Steel Association) e l’ottavo consumatore (33,4 milioni di tonnellate nel 2021). Come l’Italia, ha una produzione siderurgica basata sul forno elettrico (71% dell’output totale, contro l’84% italiano) e su un output orientato sui prodotti lunghi (60% del totale). Inoltre, è dipendente dalle importazioni di materie prime e semilavorati ed è un grande trasformatore di acciaio.
La Siria ha invece un profilo siderurgico molto diverso. A causa della guerra civile in corso dal 2012, oggi il Paese consuma 250-300mila tonnellate di acciaio l’anno, con una produzione interna di solo 5mila tonnellate. Tutto il fabbisogno è coperto dalle importazioni. Nei primi anni 2000, la Siria era arrivata a consumare circa 2,5 milioni di tonnellate di acciaio l’anno e a produrne fino a 70mila. Al momento, quindi, il Paese è un attore secondario della siderurgia e, almeno finché la guerra civile non sarà terminata, è difficile pensare a un cambio della situazione.
In occasione del webinar che Siderweb ha dedicato a questo specifico argomento, il responsabile dell’Ufficio studi Stefano Ferrari ha rilevato che nel medio termine, «è ipotizzabile che sarà varato un grande programma di ricostruzione degli edifici e delle infrastrutture che sono stati danneggiati dal sisma. Interventi di ricostruzione che, secondo gli analisti, dovrebbero prendere corpo soprattutto nei prossimi 2-5 anni e potrebbero cubare tra il 5,5% ed il 10% del Pil turco, quindi tra i 45 e gli 85 miliardi di dollari circa».
Se ciò avverrà, gli investimenti confluiranno nel settore delle costruzioni, con effetti sulle importazioni di billette e rottame, con un aumento della richiesta turca. In particolare, dato che la Turchia importa circa 12,7 milioni di tonnellate all’anno di rottame dall’Ue, potrebbe verificarsi una crescita della pressione sul materiale europeo, con un impatto anche sui prezzi pagati dalle acciaierie italiane. All’export, invece, «abbiamo preso in considerazione i tre prodotti per il settore delle costruzioni più esportati dalla Turchia, ovvero tondo per cemento armato, profilati e vergella – ha concluso Ferrari -. I volumi dei tre prodotti, nel complesso, sono pari a circa 8,5 milioni di tonnellate annue. È realistico supporre che, date le necessità del mercato interno, le esportazioni turche di questi prodotti possano ridursi. Degli 8,5 milioni menzionati in precedenza, circa 3,5 sono esportati dalla Turchia in mercati potenzialmente contendibili per le acciaierie italiane o europee, che quindi potrebbero indirettamente vedere salire le vendite all’estero in corrispondenza della ricostruzione».
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