Europa, talenti e cultura del lavoro: la formazione ci salverà dalla crisi

Il rapporto di Mario Draghi sul rilancio dell’Ue sottolinea un quadro preoccupante di skill shortage e skill mismatch. La proposta: riforme nei sistemi educativi e formativi, così più connessione tra lavoro e istruzione

Il rapporto presentato a settembre da Mario Draghi non ha tradito le aspettative, generando un forte dibattito. Se vuole tornare a crescere e ad avere un ruolo forte e autorevole nel definire gli equilibri di domani insieme a Stati Uniti, Cina e ai paesi emergenti, l’Europa deve tornare a crescere e a investire. E deve farlo in settori chiave come quello dei semiconduttori, della digitalizzazione, dell’energia rinnovabile, dei trasporti, dell’automotive, della difesa e delle materie prime. Si tratta senza alcun dubbio di una sfida sistemica, che senza mezzi termini l’ex Presidente del Consiglio e della Bce ha definito vitale per il futuro dell’Unione. Se non dovessimo essere in grado di farlo perderemmo, secondo Draghi e il team che ha contribuito alla stesura del rapporto, non solo la capacità di competere, influenzare e gestire i rapporti con gli altri attori su scala globale, ma metteremmo a rischio anche uno dei prodotti di cui come europei ed occidentali andiamo più fieri: il nostro modello sociale nato su presupposti di equità, rispetto dei diritti, democrazia e giustizia.

Competitività moderna

Quelli elencati sono tutti settori altamente competitivi, dove l’innovazione e la ricerca giocano un ruolo chiave e dove, di conseguenza, è richiesto l’apporto di una forza lavoro altamente qualificata, in grado di gestire processi produttivi e dinamiche di mercato complesse. È proprio qui che entra in gioco l’importanza del garantire sistemi educativi e di formazione in grado di fornire ai cittadini le giuste competenze per affrontare questa sfida, in modo inclusivo e contribuendo a migliorare e ad accrescere la produttività e la crescita degli stati membri. Ciò perché la competitività moderna, pilastro del paradigma di crescita individuato nel report, dipende non solo e non tanto dai costi connessi al lavoro, quanto soprattutto dall’organizzazione, dalle competenze e dalla conoscenza della forza lavoro.

Due fattori fondamentali

Un intero capitolo del report è dedicato nello specifico a tracciare un quadro dello stato attuale in termini di formazione e competenze della forza lavoro nell’Unione europea. Un contesto sul quale influiscono sostanzialmente due fattori: skill shortage, a causa della quale la forza lavoro si ridurrà di quasi 2 milioni di lavoratori ogni anno da qui al 2040 e skill mismatch. Il primo fa riferimento alla mancanza di lavoratori, per far fronte al quale è necessario rivedere profondamente le politiche a favore della natalità e quelle migratorie, il secondo invece viene comunemente descritto come la difficoltà da parte delle imprese a trovare lavoratori dalle competenze adeguate per occupare le posizioni aperte. Per provare a risolvere i problemi inevitabilmente legati a questi due, l’ex Presidente del Consiglio ha individuato alcune misure specifiche e relative al modo con cui viene finanziata, programmata e gestita la formazione, tanto dei giovani quanto dei lavoratori, alla mancanza di investimenti, alla scarsa tracciabilità ed efficacia degli stessi.

Analisi dettagliata dei bisogni

Rispetto al primo punto, ovvero il finanziamento, la programmazione e la gestione della formazione, il report ha individuato alcune problematiche. Prima di tutto è necessario operare una riforma delle politiche delle competenze, ripensando un modello di skill policy basato su un’analisi dettagliata dei bisogni e delle lacune esistenti. In secondo luogo, e in modo complementare a quanto appena sottolineato, è necessario aggiornare i curricula formativi, avvicinando il mondo della formazione e quello del lavoro, soprattutto nei percorsi a elevato contenuto tecnico e professionale. Infine, quanto mai necessario ottimizzare l’allocazione delle risorse disponibili attraverso una profonda revisione dei modelli di spesa, con un focus su valutazioni di impatto e modalità di audit più precise per garantire risultati concreti. A riguardo bisognerebbe anche agire sensibilizzando gli stati membri verso quello che è un interesse strategico non solo europeo, ma anche nazionale. La formazione non rientra negli ambiti di competenza esclusiva dell’Unione europea e gli stati hanno una forte autonomia di policy e di spesa. Recenti studi sottolineano proprio come questa autonomia vada preservata, favorendo lo sviluppo di sistemi in grado di adattarsi alle specificità nazionali, ma il raggiungimento di obiettivi fissati a livello comunitario dovrebbe essere un obiettivo comune. Un obiettivo che però dovrebbe essere valutato in base a metodi più rigorosi e funzionali rispetto a quanto non accada ora. Un esempio è quello dei Patti per le Competenze, il cui successo è stato fino ad ora quanto meno dubbio, e questo è un tema che può essere esteso oltre il caso specifico, allo scarso coordinamento tra pubblico e privato che ha portato a una dispersione delle risorse senza reali miglioramenti in termini di competenze e competitività. Nel report trova anche spazio la necessità di investire nella formazione dei lavoratori, in un’ottica di apprendimento permanente che non si può limitare a sporadici e spesso poco efficaci corsi di aggiornamento professionale.

Le politiche delle imprese

Una riflessione viene infine dedicata anche alle politiche delle imprese stesse. Troppo spesso, la formazione viene vista come un costo, che espone le stesse al rischio di perdere il lavoratore una volta che questo ha appreso competenze facilmente spendibili sul mercato. Si tratta di una prospettiva indubbiamente reale, sotto tanti punti di vista, ma che manca di considerare l’intero volto del problema. Nel rapporto infatti, lo stesso Draghi suggerisce come una delle cause dello skill shortage sia da ricercare anche in un’errata allocazione dei lavoratori, e quindi delle competenze all’interno delle imprese. La mancanza di corrispondenza tra competenze e responsabilità lavorative danneggia infatti sia il rendimento delle imprese sia la soddisfazione dei lavoratori, e per farvi fronte è necessario che le imprese rivedano, in alcuni casi anche profondamente, le strategie di impiego e gestione dei lavoratori. Tutte queste misure vogliono garantire ai lavoratori, giovani e meno giovani, ma anche alle imprese un ambiente il più possibile funzionale a tradurre in maggiore produttività e qualità del lavoro competenze che sono e saranno fondamentali per affrontare le sfide che l’Unione europea, e l’Italia in particolare si trovano a dover affrontare. Il rapporto va quindi preso come un’inspirazione, che delinea sfide e possibili soluzioni attraverso cui passa il futuro dell’Europa. Non è un caso che le competenze e la formazione abbiano trovato un posto all’interno di questo importante documento.

La strategia nel rapporto di Draghi

Il rapporto Draghi sull’Europa, presentato al Parlamento europeo a Bruxelles lo scorso 17 settembre 2024, propone un piano strategico per rilanciare la competitività economica dell’Unione europea. Il documento scritto dall’ex capo della Bce Mario Draghi - che si può leggere integrale sul sito della Commissione europea - identifica le principali sfide che il continente deve affrontare in settori come i semiconduttori, la digitalizzazione, le energie rinnovabili, l’automotive, la difesa e le materie prime. Un elemento centrale è il miglioramento delle competenze della forza lavoro, con particolare attenzione alla formazione continua e al superamento del «skill shortage» e dello «skill mismatch». Secondo Draghi, l’Europa deve investire di più in tecnologie avanzate e riformare i sistemi educativi per adattarsi a un mercato del lavoro in rapida evoluzione, mettendo in atto politiche che favoriscano l’inclusione e lo sviluppo delle competenze. Il rapporto è un invito ai governi europei a coordinare sforzi e risorse, poiché senza una risposta adeguata l’UE rischia di perdere competitività globale e mettere a repentaglio il suo modello sociale.

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