Economia / Sondrio e cintura
Mercoledì 27 Luglio 2016
Addio all’ufficio: «Faccio meno fatica
nella mia vigna»
Tresivio: tre storie “alternative” raccontate all’incontro sulle nuove prospettive di vita nella valle del vino. Matteo, Davide, Francesco e quella voglia di rischiare.
Matteo Sega ha lasciato il lavoro da impiegato in banca per reimpiegarsi o piegarsi – a seconda dei punti di vista – in vigna. Un po’ come ha fatto anche Davide Minatta, che ha rifiutato una proposta di un «bel lavoro» in ufficio per dedicarsi alla vite. Francesco Mondora, invece, ha fatto della biodinamica lo spirito che permea le sue coltivazioni dalla quale pulsa l’energia della terra.
Sono le storie che, domenica scorsa, sono state raccontate nella contrada di San Tomaso alla tavola rotonda “Ciuvinasca e veltliner: la valle del vino” promossa da fondazione Fojainini, biblioteca di Tresivio e contradaioli in occasione della festa patronale. Nessuna conferenza accademica o, come spesso accade, troppo tecnica, ma una testimonianza concreta e attraverso il volto di giovani, di chi vuole “osare” tornando alla terra e facendolo con spirito nuovo.
Matteo Sega di San Giacomo di Teglio, per esempio, non ha dubbi: «Facevo più fatica ad andare in banca ogni mattina rispetto ad ora - ha detto -. Spesso la viticoltura è associata a fatica, piogge torrenziali, muri che cadono. Io, invece, parlo con orgoglio del mio lavoro. Certo la viticoltura deve essere fonte di reddito, bisogna riuscire a viverci e mantenerci la famiglia».
L’avventura di Sega, come la chiama lui, è iniziata nel 2006, quando, insieme al padre e al fratello, ha fondato l’azienda “Barbacàn” andando a recuperare la vigna dei nonni. Allora erano 3mila metri quadrati, ora sono 60mila. La produzione di quest’anno sarà di 20mila bottiglie. «Mi occupo a tempo pieno di questo lavoro - ha raccontato -. Produciamo uve e vinifichiamo. La mia immagine di viticoltura valtellinese è artigianale e famigliare, di gente che produce e vinifica nella propria cantina come noi. Ci sono tanti posti belli al mondo, ma il nostro è unico, noi siamo la banca genetica del nebbiolo. La nostra forza, che per anni è stata debolezza, è il territorio».
Minatta, 33 anni di Traona, dopo l’università ha deciso di tornare alla terra. «Mi sono sempre rimaste impresse le fatiche del nonno sui terrazzamenti - ha affermato -. Ho 7mila metri quadrati di vigna che ho iniziato a coltivare con il metodo convenzionale, ma mi piacerebbe confrontarmi con altre esperienze. Ad ora importante è l’accordo con i viticoltori vicini per cintare due ettari di terreni per evitare i danni causati da cervi».
Mondora da una decina di anni – faticosi, visto che non c’era nessuno con cui confrontarsi e darsi una mano – coltiva con la tecnica della biodinamica. «Mi rendo conto ogni giorno di avere a che fare con processi viventi e che l’uomo è mediatore fra terra e cielo», ha spiegato il viticoltore di Pedemonte a Berbenno, dove coltiva un ettaro di vigna e quattro ettari fra cereali e prato. Mondora non va a sanare situazioni degradate dal meteo o da altro, ma influisce sui processi viventi, ad esempio spruzzando in vigna tisane a base di camomilla, ortica o equiseto.
«Con le nostre piccole azioni possiamo cambiare il mondo - sostiene -. In biodinamica abbia un preparato chiamato “501”, fatto di 4 grammi di silice messa in un corno di mucca con 40 litri di acqua, che spruzzo su un ettaro di terra. Quando lo spruzzo le foglie rinvigoriscono: io lo chiamo “effetto viagra”. Se esagero con la silice farei bruciare tutto. Ovviamente bisogna sperimentare, ma se non c’è qualcuno che osa. non ci sarà mai un progresso».
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